sabato 16 ottobre 2021

Un weekend in Val di Daone

Una boulderata di Enrico e Franz.

Tutto inizia con la brillante idea del Franz di passare a San Vito di Cadore per recuperare i crash lasciati in montagna (perché non si sa mai). E' venerdì sera, il 15 ottobre 2021 per l'esattezza, e non abbiamo ancora organizzato nulla, al solito tutto ad cazzium: non sappiamo ancora che strada ci conviene fare, a che ora partire, dove dormiremo, ma soprattutto non abbiamo la guida dei blocchi. Quali blocchi? Ma quelli del Daone, ovviamente!

Così si parte sabato mattina presto, incagolati dal sonno, per quello che sarebbe stato (e lo è stato) un lungo viaggio. Dopo aver percorso oltre 400 Km di chiacchiere, con le orecchie sature dei roboanti assoli di chitarra di Petrucci, giungiamo a destinazione alle ore 15.00 per parcheggiare in località Nudole. Il paesaggio è incantevole, le foto che seguono parlano da sole.




Il giorno seguente decidiamo per il settore Foresta, in località la Plana, dove parcheggiamo in ampio spiazzo popolato da altri "cimber" che pare abbiano passato la notte chi in camper, chi in tenda. Da lì proseguiamo a piedi lungo la strada forestale, dove dopo poco troviamo l'ingresso del famigerato "Boulder Park". Il bosco è da fiabe, con blocchi di granito che sembrano sculture. Il fondo è comodo e si scala su tutte le difficoltà. Siamo semplicemente in estasi. Troviamo dei ragazzi che ci fanno consultare la guida, ma per noi è lo stesso, tanto andiamo a sentimento.






Piccolo bilancio del weekend. La Val di Daone è semplicemente meravigliosa, remota e isolata, e merita una visita anche soltanto per il paesaggio (per chi non ravana). Mettici che abbiamo scalato sui più bei blocchi di sempre, il granito grippa ma non è così abrasivo per la pelle (tipo Gallura in Sardegna) e c'è da scalare per tutti, brocchi compresi :)

Ci ripromettiamo di tornare prima che faccia inverno. Chi ha voglia di unirsi ci faccia un fischio!


sabato 9 ottobre 2021

Sassolungo di Cibiana, una bella cima ma... #anchemeno

Una riflessione di Enrico.

Lo scorso sabato, ho proposto a mio suocero Dario e mia cognata Angy, di tornare sul Sassolungo di Cibiana, una ravanatina cui sono particolarmente affezionato e di cui conservavo dei bei ricordi. Qualche anno prima infatti, sulla via del ritorno verso il passo, poco sopra il sentiero, avevo trovato un enorme porcino tra le radici di un abete, dove avevo sostato per una pausa di riflessione.

Il percorso, nelle guide, è descritto come di stampo alpinistico e si svolge in ambiente abbastanza isolato. Si tratta di una salita che presenta passaggi di divertente arrampicata, mai esposti di I°-II° su roccia buona, con qualche traverso su cenge detritiche.

La relazione di vienormali.it avverte che l'itinerario "richiede capacità di orientamento, piede fermo ed esperienza su percorsi rocciosi. Segnavia sbiaditi e pochi ometti, da evitare con nebbia e neve", ma è aggiornata al 2010. Nella guida "Wild Dolomiti - I percorsi più selvaggi" (Vividolomiti Edizioni, 2013), si legge invece che il percorso che sale lo spigolo N-E (che, tengo a specificare, non è la via normale) è stato "valorizzato" con bolli rossi.


Parcheggiamo l'auto poco sotto il Rifugio Re Mauro, in una piazzola erbosa sul versante zoldano, e ci incamminiamo di buona lena lungo la forestale numerata CAI 483. L'aria è frizzante e i larici cominciano a virare verso tinte tipicamente autunnali.

La strada sale dolcemente per il bosco, fino ad un bivio che conduce a Forcella Bella, direzione bivacco Campestrin. Qui incontriamo una coppia di giovanissimi, diretti alle cime degli Sfornioi (altra meritevole ravanata, di cui si parlerà in seguito), con cui intratteniamo una garbata conversazione che sfocia sempre nelle solite domande, del tipo: "ma che grado xe?".

Usciti dal bosco traversiamo le ghiaie che scendono dalla bancata sottostante la cima dello Sfornioi Nord, puntando decisamente verso il Sassolungo. Una volta raggiunta la Forcella Bella (foto di rito sul sasso aggettante poco sotto), scavalliamo sul lato opposto per intercettare, un centinaio di metri sotto, una netta traccia orizzontale che piega a sinistra. Raggiungiamo una forcelletta dove un grosso bollo, che appare riverniciato di recente, campeggia sulla parete ad indicare l'attacco della via.

Non intendo qui descrivere minuziosamente la salita, di cui si trova sul web ampia letteratura, anche per lasciare al lettore il piacere di scoprire l'itinerario da sé. Ma sto bleffando: non c'è spazio per esplorazione alcuna, perché la via è abbondantemente segnata da pennellate di minio rosso (vedi foto) che imbrattano la roccia ovunque.

Mi sento un po' come se mi avessero defraudato di un privilegio, anzi di un dritto. Vengo pervaso da un fastidioso senso di ingiustizia, che non riesco a scrollarmi di dosso per tutta la giornata.


Si sale per gradoni, cenge e brevi salti rocciosi. Lungo la via troviamo dei cordoni su chiodi e su clessidre naturali, che ipotizziamo possano servire a chi volesse attrezzare la via per salirla fuori stagione o per portarci su i "boci" alle prime armi.



Cerco qualche passaggio "adrenalinico" sulla paretina di marciumi che rimonta la larga schiena sommitale, pensando tra me e me a come doveva essere quando non c'erano sentieri, né segnavia. Quando i primi a salire erano i cacciatori e Grohmann non aveva messo ancora il suo nome su tutte le cime qui attorno. Pensieri agrodolci, che rispecchiano forse il mood stagionale.
 

Nel frattempo le nuvole si sono chiuse velocemente sopra di noi e la vista sul panorama intorno ci è in parte negata. Ma non fa niente, felicità è arrivare in cima e non vedere nulla. Si sta bene lo stesso! 
L'itineriario che seguiamo per la discesa è ben descritto dagli autori di "Wild Dolomiti", e per sfasciumi, canalini e una cengia poco esposta, attrezzata con un vecchio cordino di cui non c'è troppo da fidarsi, ci ritroviamo sulle ghiaie alla base delle rocce. Da lì il ritorno alla Forcella Bella è scontato.


Considerazioni finali.

Ricordavo la salita leggermente più ostica, sarà stata la compagnia piuttosto variopinta della prima volta, e invece nel complesso la si può descrivere come una camminata, con qualche passaggio che richiede di prestare un minimo di attenzione.

Non sono certo uno che si scandalizza se trova uno spit in più in parete (Dio benedica i chiodi a pressione), ma questa ossessione di marchiare le vie di accesso alle cime minori  - quelle che dovrebbero ancora essere selvagge -, proprio non la capisco. Gli ometti bastano e avanzano, sono eco-compatibili e se crollano d'inverno i primi apritori della stagione posso tranquillamente "metterci una pietra sopra", ripristinandone la funzionalità.

Spero proprio che molte delle belle ravanate che ho fatto in questi anni non vengano mai segnate con  indelebili segni o altro. Ma soprattutto spero che non vengano trasformate in ferrate: il cavo d'acciaio è nemico assoluto del ravanatore, il barancio il suo più fedele compagno.

E insomma, la giornata nel complesso è stata piacevole, Dario e Angela scendono comunque pienamente appagati. Nessun porcino sulla via del ritorno.

Hashtag della gita #anchemeno

venerdì 8 ottobre 2021

Pedalata gigante 2017

Un racconto di Franz.

Entusiasti dalla nostra prima piccola avventura, l’anno seguente decidiamo di ripetere l'impresa, ma con le stesse premesse: nessun allenamento e obiettivo "arriviamo dove arriviamo". 

Verso metà aprile la proposta non poteva mancare, così sento Enrico e dopo aver valutato assieme l'itinerario di massima, decidiamo di seguire alcune delle principali ciclabili venete, trentine e altoatesine. All'indomani della partenza, la domanda che mi pongo è sempre la stessa: "Quanti chilometri riusciremo a fare in totale, considerato che montiamo seriamente in bicicletta una sola volta l’anno?".




Ia TAPPA: Bassano del Grappa - Levico (70 km)

La comitiva è così formata: io, Enrico, Pippo, cui si aggiungono Andrea (quello allenato), Francesco, per tutti Checco (quello forte), e Nicola (il filosofo). Il morale è alto quando partiamo un venerdì di inizio maggio, nel primo pomeriggio, prendendo il treno da Venezia diretto a Bassano.

Una volta arrivati a destinazione, usciamo brevemente dal centro seguendo il corso del Brenta e ci incanaliamo lungo la ciclabile della Valsugana, arrivando verso sera, dopo circa 70km, in zona Levico Terme. Con qualche piccolo intoppo: la pedivella sinistra della mountain bike di Enrico si spezza senza preavviso, procurandogli un taglio sul polpaccio, per fortuna senza provocare pericolose cadute. Enrico, accompagnato dal solidale Nicola, torna quindi a Bassano per medicarsi e trovare un'officina dove farsi sostituire il blocco centrale. Ormai si è fatto tardi per loro, per cui decidono di saltare la prima tappa e raggiungerci via treno.


Il percorso della Valsugana è ben segnalato e panoramico, ideale per cicloturismo. La sera alloggiamo in un B&B a Barco, dove godiamo di un'ospitalità davvero inaspettata.



IIa TAPPA: Levico - Trento - Bolzano - Rio Pusteria (145km)

Alle prime salite Pippo spinge sui pedali e stacca il gruppo per scavallare per primo a Vigolo Vattaro, anche se un po' provato (errori giovanili!). La discesa per Trento è entusiasmante e una volta raggiunto il fondo valle ci immettiamo sulla pianeggiante ciclabile del Sole. Purtroppo il vento non ci è favorevole e per tenere un buon ritmo pedaliamo in fila, ben compatti, dandoci il turno per chi sta in testa. 

La ciclabile è piuttosto affollata e i local non sembrano molto tollerare che ci fermiamo in mezzo alla strada, per mangiare una barretta o fare pipì. Dopo l'ennesimo "pistaaaa" Nicola, il filosofo, esordisce con una delle sue frasi storiche: "La strada è di chi la usa". Massima entrata subito negli annali. 


Pranziamo a Bolzano, in piazza, seduti alla tavola di una sagra paesana (panino con salsiccia e crauti). Nel pomeriggio, con le panze piene, ci trasciniamo fino a Brixen, dove è doverosa una breve sosta e scattiamo qualche foto. Da lì in poi proseguiamo verso Fortezza, con qualche tratto di strada sterrata e non sempre agevole. Nicola è in sella ad una vecchia Cinelli e le sue ruote mal si adattano al fondo irregolare. Verso le 20:45 capitiamo in un piccolo e grazioso albergo a Rio Pusteria, dove ci fermiamo per la notte.



IIIa TAPPA: Rio Pusteria - Brunico - Dobbiamo - Cortina - Longarone (134km)

Ci svegliamo di buon mattino, la giornata è fresca e luminosa. L’umore torna alto, dopo la sfaticata del giorno precedente e l'amichevole competizione - se così si può chiamare, - aumenta. Dopo i primi 40km percorsi tutti assieme, Pippo e Nicola decidono di rallentare, così il gruppetto si divide. I restanti procedono speditamente fino a Brunico e giunti a Dobbiaco imboccano la statale per il passo Cima Banche, decidendo di evitare la ciclabile, che in alcuni tratti sterrati risulta poco praticabile.
 

A pochi chilometri dal valico scatta la classica volata. Nell'ordine di arrivo: Andrea, Checco e poco più indietro io ed Enrico, che per non esser da meno spingiamo al massimo e tagliamo assieme questa modesta (ma non per noi) tappa di montagna.



Scendendo verso Cortina, percorriamo la ciclabile delle Dolomiti, strada già salita l’anno precedente e occasione per ricordare i bei momenti trascorsi assieme. Percorriamo tutta la Cavallera e la statale lungo la Piave a ritmo costante, fino a guadagnare la meta finale di Longarone alle 7.00 di sera, giusto in tempo per agguantare l'ultimo treno.

Un'ultima domanda: ma che fine avranno fatto i due dispersi?

venerdì 1 ottobre 2021

Gusela del Padeon, le prime due volte

Un racconto di Enrico.

La Gusela del Padeon è una torre isolata che si eleva sulla verdeggiante Val Padeon, spalleggiata dalle più note cime del Pomagagnon, sottogruppo del Cristallo, a Cortina D'Ampezzo.


La Gusela del Padeon

Scopriamo questa cima sulla guida intitolata "111 Cime attorno a Cortina" (Idea Montagna), che fa da sfondo a molte delle nostre escursioni di questi ultimi anni. Dal momento che la descrizione della salita è già disponibile presso il sito VieNormali.it, questo post non vuole essere una relazione alla via, bensì il racconto di come abbiamo affrontato la Gusela a più riprese, fino ad adottarla come una delle nostre ravanate preferite di sempre.

giovedì 30 settembre 2021

Pedalata gigante 2016

Un racconto di Franz.

Correva l'anno 2016, tutto ebbe inizio in una serata come tante, tra un boulder e una birretta cazzeggiando in giro per Venezia. Guardo Enrico e gli dico: "Ma perché non facciamo un giro in bicicletta un giorno di questi? Magari fino a San Vito di Cadore? C’è la ciclabile Venezia-Monaco che passa per Cortina d'Ampezzo".
Lui, che dice sempre che sono un matto, mi fa: "Franz, non siamo assolutamente allenati. Quando partiamo?".

Scapellati come eravamo, con le prime biciclette trovate in cantina, fissiamo la data di partenza per un'alba di fine Maggio, zaini in spalla e tanto ottimismo. All'appello siamo noi due, Pippo (il più giovane e all'epoca la mascotte del gruppo) e l'amico Piero. Praticamente la compagnia del panèo (n.d.r in italiano "pannello", gergalmente la palestra d'arrampicata di Sant'Alvise a Venezia, dove ci siamo conosciuti tutti).


Ia TAPPA
Destinazione? Arriviamo dove arriviamo.

Inforcate le biciclette e superato il Ponte della Libertà, attraversiamo il desolato centro di Mestre per raggiungere il Terraglio che ci porterà dritti dritti fino a Treviso. Aggirato il centro intorno alle storiche mura, per evitare le arterie principali che cominciavano ad essere trafficate, ci avventuriamo in un dedalo di stradine secondarie a nord della "marca gioiosa", passando per Arcade, fino a raggiungere località ponte della Priula. 
Da Conegliano raggiungiamo poi Vittorio Veneto, pedalando sulla irta dorsale di via Marcorà (Ogliano), dove iniziamo davvero a scaldare i motori.

Il tempo non è dei migliori, per cui dopo una piccola sosta alla base della scalina di Santa Augusta, decidiamo di muoverci in fretta verso il Fadalto. Alle prime salite il nostro trenino di biciclette si allunga fino a disperdersi. Ognuno col suo ritmo, infine, ci ritroviamo al passo sotto un diluvio proverbialmente universale, che ci constringe a fare tappa presso uno dei ristoranti locali. 
Una volta passato l'acquazzone decidiamo di scendere per la destra orografica del lago di Santa Croce. Stanchi e infreddoliti e completamente inzuppati arriviamo a Longarone, dove decidiamo di fermarci per la notte.

Troviamo un accogliente B&B, Casa Gilda, perfetto per chi vuole fare cicloturismo. I proprietari sono molto disponibili, camere pulite e colazione abbondante.

Totale 114km


IIa TAPPA
Partiamo di buonora lungo la ciclabile che costeggia la Piave e che tra paesi semi abbandonati ci porta a Perarolo di Cadore, ai piedi della famigerata Cavallera, dove ingaggiamo un'insensata sfida a perdifiato per arrivare sfiniti a Sottocastello. Di lì, seguitiamo a pedalare comodamente sulla bella ciclabile delle Dolomiti, fino a raggiungere San Vito di Cadore verso l'ora di pranzo.
 
Dopo una breve sosta, una birretta e qualche foto, decidiamo di tornare in pianura, con la solita destinazione: arriviamo dove arriviamo.

Affrontiamo lo stesso percorso dell'andata, decidendo da Longarone per la sinistra Piave. Saliamo il Fadalto sotto l'ennesimo diluvio, questa volta davvero fradici, decidendo di fermarci a dormire a Tarzo (Vittorio Veneto), dove ci raggiungono per la sera amici e morose.

Totale 126km


IIIa TAPPA
Il giorno seguente partiamo nel pomeriggio, con gran calma puntando a Treviso, per poi rientrare a Venezia via treno.

Totale 40,5km



Sul Ponte della Libertà

Ce la faremo?

Campagne

Gesti che parlano da soli

Il prosecco

Vittorio Veneto

Il nostro B&B preferito

Lungo la Piave

Il nostro piccolo traguardo 


San Vito di Cadore

L'arrivo a Treviso

lunedì 27 settembre 2021

“La Rota” al Rifugio San Marco

Resoconto di Enrico & Pippo.

Siete alla ricerca di un’alternativa ravanosa in zona San Vito di Cadore per passarvi una mezza giornata? Stanchi della solita strada per arrivare al Rifugio San Marco? Volete meritarvi davvero i rinomati canederli pressati al formaggio con l’insalata di cappuccio dell’orto?

La Rota è quello che fa per voi. 


Consigliati da Edy, che con la moglie Tania gestisce il summenzionato rifugio, decidiamo di approcciare questa alternativa via di salita praticata dai soli local, che ne conoscono il recondito accesso.

L’itinerario si svolge attraverso un bosco pensile, tra brevi risalti erbosi e ripidi pendii, sfruttando le debolezze della parete in località La Rota, sottostante il Col De Chi De Os.

Benché ci sia da metter giù le mani solo in un paio di punti, la salita è piuttosto faticosa, con un paio di traversi poco esposti dove è necessario avere passo fermo.

Al lettore non vogliamo svelare con troppe immagini l’originalità del percorso, che va individuato con un po’ di intuito, nonostante segnalato da vecchi bolli rossi cerchiarti di azzurro. Preferiamo infatti lasciare all’esperienza diretta la scoperta di questa simpatica alternativa, limitandoci ad una descrizione sommaria.

Parcheggiare l’auto in località Baita Sunbar e imboccare la strada forestale che costeggia il Rio Secco, a sinistra del capanno che ospita mezzi e macchine ad uso impianti sciistici. Dopo aver attraversato il ruscelletto, continuare sul percorso principale fino a raggiungere un albero (sx) con indicazioni per i rifugi Scotter e San Marco. Dalla biforcazione prendere la ripida strada che si diparte sulla sinistra (all'inizio non segnalata).


Si salgono le prime rampate senza esitazione, fino a quando la pista si trasforma in sentiero che sale a serpentine per radure ombrose, puntando alla parete di cui si intravedono, attraverso gli alberi, i tratti rocciosi. La necessità di aggirare qualche albero caduto può far perdere la traccia, ma che tutto sommato si snoda in modo abbastanza logico, basterà non perdere d’occhio gli sbiaditi segnavia che si trovano qua e là.

 

Giunti alla base della paretina non resta che seguire i bolli, per cenge erbose e qualche delicato salto di roccia (elementare), fino a raggiungere un’erta erbosa, alla cui sommità con gran soddisfazione si legge inciso su di un tronco mozzato il nome del troi.


A sinistra la traccia prosegue verso un punto panoramico sulla Valle del Boite, attenzione al salto imminente.
 

Tornati sui propri passi, si prosegue in quota lungo la cresta erbosa fino ad incrociare il sentiero n. 225 che sale da Val Podolada, in località Pra da Mason. Da lì, in una ventina di minuti si raggiunge il Rifugio San Marco.