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mercoledì 7 agosto 2024

Pala N-E di Misurina

Una ravanata di inizio stagione. 

Il 22 luglio 2024 il cielo è piuttosto annuvolato, decidiamo di salire una delle pale di Misurina, una gita di poche ore che si sembra perfetta per tarscorrere una mezza giornata tra sassi e mughi.

Parcheggiata l'auto nello spiazzo presso Malga Misurina (circa quota 1800 s.l.m.), prendiamo a salire per prati fino ad incrociare il sentiero CAI numerato 224 per Passo delle Pale. Saliamo nel bosco tra i larici e al bivio scegliamo il sentiero che prende a serpentinare a destra (faccia a monte), fino a raggiungere la forcella, dove si trovano resti in pietra di postazioni di guerra. 

Da lì seguitiamo per una traccia appena segnata che volge verso la Pala Nord-Est, la quale si erge come una grossa gobba ghiaiosa ammantata dai baranci. Rimontiamo un'erta ripida aggrappandoci alle piante che la delimitano a sinistra per raggiungere la cresta che conduce logicamente alla base della Pala. La vista sul paesaggio circostante è davvero bella. 

Saliamo sul fianco sud dapprima traverso i baranci, per poi portarci sulla sulla destra dove la parete nord strapiomba sulla Val Popena. Raggiungiamo così la base di un diedro appoggiato che appare la logica prosecuzione del nostro tragitto. Dopo aver valutato possibili percorsi alternativi possibili, decidiamo di salire detto diedro che presenta solo semplici passaggi di divertente II-. Frase storica di Dario: "tuti boni co' ea corda" :-)))

Usciamo dal diedro su terrazzino poco esposto e rimontiamo le ultime roccette friabili fino a raggiungere la cima. 

Proseguiamo oltre per cresta esposta mitigata dalla presenza di mughi, per raggiungere una propaggine che si affaccia sulla Pala Sud-Ovest, che secondo la letteratura in rete è possibile raggiungere traversando un canale che separa le due cime. Scendiamo con prudenza verso il ciglio della parete, dove appare effettivamente possibile calarsi nell'intaglio. Il problema è risalire dall'altro lato, senza assicurazione alcuna, per cui decidiamo di tornare in futuro armati di uno spezzone di corda, così da tentare l'abbordaggio dell'altro versante.

Tornati sui nostri passi, scendiamo in Val Popena, raggiungiamo i ruderi dell'omonimo rifugio e galoppiamo verso la Malga Misurina per pranzo, dove ci attende una violenta pasta al ragout di cervo e tanto vino rosso. 

Bella cimetta con vista su ambiente grandioso, bel terreno di gioco per ravanatori in erba.

Verso la Pala.

Su per le ghiaie.

Vista del diedrino.

Dario sale per primo.

Close up sul diedrino.

Sulle ghiaie terminali (un po' esposto a destra).

In vista della vetta.

Noi.

I ruderi del Rifugio Popena.

sabato 22 luglio 2023

Il sentiero "Giamaica", un simpatico viaz di camorzieri sui Becchi di Imposponda

Una ravanatina di Enry & Pippo.

Veniamo a conoscenza di questo simpatico e ravanoso viaz ancora una volta da Eddy, rifugiante del San Marco, il quale ogni tanto ci manda alla morte su improbabili sentieri, normalmente sconosciuti ai più e ovviamente non frequentati da nessuno se non da camosci e zecche.


Il sentiero "Giamaica", battezzato misteriosamente così da anonimi local, si sviluppa brevemente sulla parte inferiore dei Becchi di Imposponda, un avancorpo dell'Antelao che fa da quinta minore al paese di San Vito di Cadore.

A dire il vero mi era capitato di fantasticare riguardo al salire le creste di detti Becchi, mentre me ne stavo comodamente seduto a sorbire skiwasser dalla terrazza del Rifugio Scotter: mai avrei immaginato che esistesse una traccia a snodarsi tra quelle gobbe baranciose, apparentemente inaccessibili. 

Dal momento che non è esattamente facile indovinare dove attacca il percorso, abbiamo cercato qualcosa in rete, incappando nel recente video di Luca Loro, per la serie "A caccia di sentieri", di cui vi lasciamo il link diretto. Come spiegato dall'autore del video, il gioco consiste nel non rivelare dove si trovano i sentieri, se non dando delle indicazioni di massima. Nel descrivervi la nostra piccola avventura ci sembra quindi corretto mantenere lo stesso grado di riserbo, lasciando a voi il piacere della scoperta. Ma possiamo dire che ci sarà da divertirsi.

Tralasciamo quindi le indicazioni sull'esatto punto di partenza, salvo precisare che il primo indizio è trovare un alberello sul limitare di una delle pista che scendono dallo Scotter, sul cui tronco campeggia il marchio "G", di cui alla foto sottostante. 

Con un po' di intuito ci si arriva eh... In ogni caso, abbiamo fatto diversi giri a vuoto nel boschetto, tra alberelli schiantati e frane recenti, fino ad individuare alcuni segni sbiaditi che ci hanno portato a sudare su un pendio di magro pascolo. Da lì il percorso è segnato da bolli blu presenti su diversi massi e il tutto diventa molto più logico.

Si traversa un ruscello sul fondo del canalone (verso sn, faccia a monte) e si comincia a salire su pendenze ora più marcate, seguendo la traccia che si snoda tra mughi. Usciti dalla mugheta, sotto parete di traversa in costa verso sinistra su pendio ripido, per attaccare quella che appare un'ovvia cengia. La cengia è percorribile senza problemi e l'esposizione è sempre mitigata dalla presenza dei mughi sottostanti. Sul termine si rinviene una corda fissa che agevola l'uscita verso il fondo di un canalino, che permette di guadagnare la cresta soprastante. Lo si risale per traccia terrosa, salvo appoggiare le mani su qualche roccia affiorante e aiutarsi con i rami dei baranci, su sentiero classificabile EE.

Una volta raggiunta la cresta si tratta di percorrerla seguendo i bolli o i tagli dei baranci. La cresta non risulta mai molto esposta. Ad un tratto è possibile uscire ed evitare il tratto segnalato con la scritta "difficile" e una freccia che indica il proseguimento. Noi restiamo in ballo e in breve giungiamo ad un cordone con nodi predisposto per la discesa.

Consigliamo di non appendersi MAI!!! alle sicure lasciate dai predecessori, perchè non sai da quanto sono là e a quanti inverni siano sopravvissute. Scendiamo quindi i pochi metri piuttosto verticali aggrappandoci alle loppe e una volta abbandonata la corda, proseguiamo per ripide tracce nel bosco, fino a raggiungere i rassicuranti sentieri CAI.

La gita prosegue verso il Rifugio San Marco, dove Eddy ci aspetta con dei meravigliosi canederli al formaggio pressati e tanto cavolo cappuccio.

Commenti finali sulla ravanata. L'ambiente è piuttosto selvaggio, nonstante la vicinanza con sentieri e rifugi. Zecche non pervenute, ma ci è andata di culo... Vietato scivolare! Segue il foto racconto della bella giornata.

La fatidica "G".

Sparuti ometti.

Uno scolorito bollo verso il termine del canale di risalita.

La prima cengia di ingresso.

Spezzone di corda per uscire dalla cengia.

Risalendo verso la cresta.

Passaggi in cresta.

Vista sul Re.

Ciao Pippo.

La corda di discesa per ripide loppe.

In uscita. In basso a destra, il Rifugio Scotter.


venerdì 3 marzo 2023

Zime de i Scalet, greppismo al suo top

Una ravanata di Enrico & Pippo.

Per i miei 48 anni decido di regalarmi una giornata di ferie per una ravanatina in zona prealpi. Consultiamo la solita guida Wild Dolomiti optando per una passeggiata che offra un dislivello non eccessivo, intorno ai 1200 metri max, visto che siamo un pelo fuori forma. Le Zime de i Scalet, all'ombra del Serva, sembrano fare al caso nostro, per cui partiamo da Venezia in modalità no stress e parcheggiamo nel ridente abitato di Polpet, Ponte nelle Alpi (BL). La corda oggi resta in bagagliaio.

In alto, le austere Zime dei Scalet.

Era parecchio tempo che volevo salire alla chiesetta di San Andrea (Polpet 394m – Chies 741m) e devo dire che il sentiero prende a rampare fin da subito. Bellissimo l'affaccio sulla vallata, purtoppo tristemente punteggiata dai capannoni, se pur utili all'economia della zona.

Dopo una breve pausa imbocchiamo il sentiero retrostante, dove presto si comincia ad affondare (letteralmente) nel fogliame secco, caduto abbondante a terra durante l'inverno. La guida spiega che poco prima del valico che conduce ai Prà d'Anties, di cui non conosciamo ahimè la quota, si stacca a destra una traccia, netta, ma non segnalata. A quel punto la traccia dovrebbe condurre ad alcuni grandi antri rocciosi e di lì ad una caratteristica cengia, solo poco esposta.

Spazientiti, dopo aver camminato per un bel po' decidiamo che la successiva deviazione è quella giusta. La traccia effetivamente taglia il pendio in leggera discesa, fino a perdersi sotto alcuni grossi faggi caduti. Superati gli stessi, proseguiamo su terreno incerto. Ora le tracce, probabilmente di animali, sono molteplici e il pendio cosparso di lunghi ciuffi d'erba si fa esposto. Decidiamo di risalire fino a raggiungere una specie di pulpito erboso che si stacca isolato nell'aspra vallata. Basta poco per renderci conto di essere finiti almeno duecento metri sotto il percorso indicato nella guida. Prendiamo quindi a salire dritto-per-dritto lungo una sorta di cresta boschiva gradonata, fino a raggiungere col cuore in gola le paretine soprastanti e trovarci (urrà) sulla giusta via. Passiamo sotto gli antri, percorriamo la sopradetta cengia costeggiando il grande anfiteatro, finchè il nostro sentiero incrocia un rigagnolo d'acqua che scende da un impervio e ripido canalone. La guida dice: superare il torrente e risalire il canalone senza via obbligatoria. D'accordo, ma superarlo di quanto... 10, 20, 50 metri??? Il sentiero prosegue in costa verso Col Mussac, e così, a casaccio, cominciamo a rimontare dei verdi sempre più ripidi, seguitando per un impluvio di loppe quasi verticali.

Decidiamo di abbandonare le loppe e uscire a sinistra, nella speranza di trovare un modo più facile per salire il canalone. Riusciamo così, con qualche peripezia, a scendere sul fondo del ruscello per poi prendere a salire più comodamente tra massi, arbusti rinsecchiti e chiazze di neve marcia. Il canale sembra ora farsi più ampio e praticabile, ma la fatica e l'incertezza sulla nostra destinazione cominciano ad esercitare in noi una certa pressione psicologica. Scartiamo una prima diramazione che non sembra portare a nulla di buono, per proseguire invece fino al fondo del ramo principale. Da qui l'unica possibile via di salita si trova alla nostra destra. Dopo aver dato un paio di morsi ai nostri panini, saliamo ora per ghiaie in un ambiente più familiare, fino a raggiungere in una ventina di minuti quella che senza dubbio alcuno è Forcella de l'Ortiga. Sono le due del pomeriggio, il cielo è velato e il morale non è al top. Possiamo decidere di fermarci qui, è stata una bella avventura e le ore di sole non sono dalla nostra...

Ma il solito imperativo morale ci ordina di proseguire: andiamo a vedere dove sarebbe questa cima. Per raggiungere la cima dobbiamo ridiscendere l'altro lato della forcella di circa 50 metri, per poi imboccare una breve cengia in salita verso destra (faccia a valle). Ma di certo qui non c'è davvero nulla, nè un ometto, nè un qualsiasi indizio. Decidiamo di indossare i ramponcini forestali, perchè la neve è sfatta, ma comunque presente. Facciamo qualche tentativo maldestro, fino ad individuare una scarpata ricoperta da ghiaino che superiamo faticosamente con l'aiuto dei mughi. Sconforto anche qui. Ma c'è una buona notizia, sul culmine alcune tracce di camosci sembrano invitarci a proseguire a sinistra (questa volta faccia a monte), sul filo della cresta, in direzione di un ampio promontorio erboso. Oltre il promontorio una cima rocciosa, il nostro traguardo? In due e due quattro, decidiamo di seguire questo esile filo di Arianna, che ci porta prima ad una macchia fitta di mughi superata la quale ci ritroviamo alla base della piccola rocca, evidentemente una delle Zime dei Scalet. Prendiamo a scalare su rocce marce (II° grado?) per una decina di metri scarsi, fino a raggiungerne la sommità, dove rinveniamo con sorpresa un grosso ometto. Meta.

Nemmeno il tempo di guardarci intorno e prende il sopravvento la preoccupazione della discesa, che si prospetta difficile. Soprattutto la preoccupazione di ritrovarci al buio, almeno non prima di aver raggiunto il sentiero che scende dalla chiesetta di Sant'Andrea. Torniamo sui nostri passi, con un po' d'affanno, scendiamo l'infida scarpata, torniamo alla forcella e ci viene un'idea balzana. Puntare ad una forcella sul lato opposto, da dove, stando alle mappe, una traccia dovrebbe riportarci verso casa, evitandoci così di scendere per il difficile canalone dell'andata. Ci separiamo, io resto alto in costa seguendo tracce, Pippo ridiscende il ghiaione e risale l'altro versante. Ma inizia a nevicare. Ci ricongiungiamo nella forcella sconosciuta da cui effettivamente appare possibile scendere, ma verso dove? Tutto ci fa supporre che il sentiero ci porti lontano, forse verso Belluno. Le troppe incertezze, le condizioni ambientali e il pepe al culo ci fanno ripiegare a malincuore per la via di salita.

Tralasciamo i dettagli di una breve e inutile digressione per mughi verticali (scorciatoia, dice Pippo) e ci ritroviamo con le ali ai piedi a trotterellare giù per l'aspro canalone, aiutati dalle nostre impronte sulla neve e, sul tratto terminale, letteralmente disarrampicando i salti d'acqua, fino a raggiungere il sentiero. Da quel punto in poi è solo un lungo e faticoso rientro alla macchina. Siamo così stanchi che alla chiesetta ci buttiamo a terra. Da lì in poi buio, se non fosse per una meravigliosa luna che rischiara i nostri passi. Neanche a dirlo e siamo seduti al bancone del Bivio a ingollare skiwasser a ettolitri.

Bilancio della giornata: un'escursione faticosa (altro che 1140 mt di dislivello), improbabile e persino pericolosa. Dove perdersi è il suo bello, ma anche no... Assolutamente da non ripetersi in stagione calda, saremmo tornati ricoperti di zecche, ma ci è andata bene questa volta. Una gita che richiede fermezza d'animo, passo sicuro su terreno impervio e tanta, ma tanta voglia di ravanare...

Che dire? buon compleanno a me! :)

Vista sulla Valle, il Dolada sul lato opposto.

Inizio della scarpinata e dubbi esistenziali.

Sant'Andrea.

Le case dei bambini.

Cresta erbosa.

Sotto gli antri.

Sotto gli antri (parte 2).

La cengia.

Passaggi in costa.

L'impluvio di loppe.

Le ripide erbe da risalire.

Scrutando verso l'alto. 

La diramazione di destra del canalone.

Risalendo le ghiaie verso forcella de l'Ortiga.

Zima.

La forcella sconosciuta, sul lato opposto.

lunedì 28 novembre 2022

Sassismo nel Fadalto che non ti aspetti

Una boulderata di Enrico & Franz.

L'autunno ha già spogliato gli alberi in valle, ma il clima è decisamente mite a fine ottobre sulla sella del Fadalto, sopra Vittorio Veneto in provincia di Treviso, dove il sole scalda l'aria e si può stare ancora in maglietta. 

Ci fermiamo per una imprescindibile sosta al Bar B&B Sella, dove approfittiamo di un caffè per chiedere informazioni in giro. Quasi dissimulando le nostre reali intenzioni, poniamo al bell'uomo dietro al bancone e agli annoiati avventori locali qualche domanda, del tipo: come si fa ad arrivare alla frana che scende dal Millifret? Ci sono dei grossi sassi in zona? Per sentirci rispondere: ma a voi cosa interessa dei nostri sassi?

Qualche indicazione puntuale ci viene comunque elargita, dobbiamo scendere nuovamente la SS 51, sul lato del passo che guarda la Val Lapisina, fino ad un tornate pronunciato dove si stacca una strada carrabile (Via delle Var Calde) che, sterrata, porta sopra il piccolo abitato. Grazie, da là in poi vedremo che fare.

Non abbiamo molti riferimenti a parte qualche foto del profilo Instagram del solito Virgi, come sempre un passo avanti nel scoprire blocchi scalabili dove meno te l'aspetti. Il nostro ci aveva infatti parlato di alcuni massi da salire con vista sul Lago Morto. Vista la vicinanza della location da Venezia, abbiamo quindi deciso di seguire - come sempre del resto - le sue orme.

La vecchia Tucson se la cava benone nel risalire la strada che si fa ripida, ma comoda e che ad un tratto volge decisamente a destra. Ci guardiamo in giro attraverso i finestrini dell'auto, mentre il percorso si snoda tra rocce di modeste dimensioni, per cercare di indovinare dove potrebbero essere i blocchi. Parcheggiamo infine su uno slargo a sinistra, puntando con lo sguardo a un masso più in alto, a tutta dritta, che si staglia netto a guisa di piramide.

Con i crash sulle spalle, saliamo un ripido costone fuori traccia fino a trovarci in qualche minuto a portata dell'obiettivo. Ci fermiamo a rimirare la paretina della piramide, alta e avara di appigli. Ma decidiamo comunque di fare un tentativo, ci infiliamo le scarpette e saliamo il bordo a destra, scattando qualche foto che rende l'idea del calcare compatto e grigio.

Dopo qualche tentativo maldestro sul lato principale, decidiamo di guardarci intorno per capire dove siano gli altri blocchi. Ma ravaniamo in tondo, su e giù per il pendio senza trovare altro. Un po' demoralizzati decidiamo di chiamare il maestro che risponde prontamente con voce entusiasta. Gli altri massi, pochi eh..., sono dietro la piramide, alla base della sopra detta frana. Aiutati dalle numerose foto che ci invia il Virgi via Whatzapp, troviamo infine gli agognati blocchi. Urrà! Il Virgi aggiunge: attenti ai mufloni, che scorrazzano liberi in zona. Saranno pericolosi???

Ne troviamo finalmente uno "da scaldo". Cominciamo a giocare inventandoci una linea che parte da una sit abbastanza fisica e che si sviluppa su un diedrino strapiombante per poi finire in placca. Poi esploriamo altri massi in zona, di modesta altezza, finché incappiamo in un grosso masso tondeggiante su cui troviamo segni di smagnesate e una bella piazzola dove distendere i crash. Proviamo una partenza molto dura, che lessa subito le braccia. Bello però!

Saliamo il ghiaione in diagonale, da sinistra a destra, e infine arriviamo al masso delle foto del Virgi, con almeno due linee molto fisiche. Le foto da wannabe rendono l'idea della durezza del blocco in questione. "Bastoni" anche qui, ma la giornata è bellissima e siamo gasati all'idea di poter avere dei boulder da provare a portata, si fa per dire, di mano. Noi gente di acqua dolce, che invece di andare a remi guarda ossessivamente alla montagna.

Al rientro ci perdiamo per un sentiero alternativo, in mezzo a rocce affilate e cespugli spinosi, per poi tornare alla macchina un po' strappati. Zecche e mufloni non pervenuti, per fortuna, ma consigliamo di usare prodotti spray specifici.

Bilancio della giornata. Sul Fadalto ci sono dei blocchi scalabili, ma quelli belli sono molto duri. Il luogo è incantevole, alcuni non ci crederanno, e da lì è possibile imboccare sentieri poco battuti che portano sopra la piana del Cansiglio. Torneremo in primavera.

Seguono foto in ordine sparso.