Un resoconto di Enrico.
E' il 4 settembre 2021, il tempo è ottimo e io e Dario siamo elettrizzati all'idea di salire la cima di uno dei gruppi più belli e selvaggi delle Dolomiti Orientali: la Rocchetta Bassa del Bosconero. La sera precedente avevamo consultato la guida "Wild Dolomiti - I percorsi più selvaggi" (Vividolomiti Edizioni, 2013), che descrive la salita con dovizia di particolari, e scattato qualche foto col cellulare in modo da poterla consultare sul posto.Rimontiamo con fatica i grossi massi dalla parte bassa del canalone, tenendoci sulla sinistra orografica. Il percorso è labirintico, accidentato e faticoso. E quando non c'è da metter giù le mani si cammina su ghiaie mobili.
Le pareti si fanno incombenti sopra di noi, tanto che decidiamo di indossare i caschetti. Troviamo altri resti di nevai tristemente prossimi allo scioglimento, che in qualche modo riusciamo ad aggirare, fino ad arrivare ad un primo collo di bottiglia. Arrampichiamo il gradone sulla liscia parete di destra, per poi proseguire in direzione della forcella, che ci pare di scorgere un centinaio di metri più in alto. Arriviamo in breve ad un secondo restringimento del canalone, che in guida viene descritto come il passaggio chiave.
Si tratta di una specie di diedrino verticale alto 4 o 5 metri, la cui roccia ci appare subito friabile. Quando arriviamo alla base, per toccare con mano, ci rendiamo conto che definirla 'roccia' è piuttosto un eufemismo: si tratta infatti di una specie di conglomerato di piccole scaglie di calcare, tenute insieme dalla sabbia.
Dario tira fuori dallo zaino uno spezzone di corda, che mi lego in vita "alla vecchia" per una improvvisata sicura a spalla. A metà del diedro c'è una sorta di piccolo gradino, ed è su quello che mi ritrovo presto in crisi. Il passaggio è occluso da un grosso masso incastrato che provo ad abbracciare, ma gli appoggi sono del tutto aleatori. Inoltre sorge la preoccupazione che lo stesso masso, sottoposto a sollecitazione, possa venire giù.
Nella guida c'è scritto che è possibile evitare il camino arrampicando, su difficoltà più elevate, la paretina di destra. Confronto la foto del libro con quanto mi ritrovo davanti agli occhi e proprio non ci siamo: la paretina è stata nel frattempo erosa e i pochi appigli disponibili sono davvero piccoli e si sgretolano sotto le dita.
Dopo qualche altro maldestro tentativo di salire a sinistra e a destra dell'ostacolo, ci guardiamo l'un l'altro con i musi lunghi: non c'è modo di passare, almeno con queste condizioni. Alla base, tra i sassi, trovo i resti di un cordino, probabilmente attrezzato da qualcuno in passato, ma ormai inservibile.
Torniamo con le pive nel sacco. La giornata è comunque splendida e l'ambiente selvaggio del canalone ci rimane impresso nel cuore. Scendiamo al rifugio, ma non facciamo altro che guardare indietro, rimuginando su un'altra possibile via di salita.
Si accettano scommesse per il prossimo anno!
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