giovedì 30 settembre 2021

Pedalata gigante 2016

Un racconto di Franz.

Correva l'anno 2016, tutto ebbe inizio in una serata come tante, tra un boulder e una birretta cazzeggiando in giro per Venezia. Guardo Enrico e gli dico: "Ma perché non facciamo un giro in bicicletta un giorno di questi? Magari fino a San Vito di Cadore? C’è la ciclabile Venezia-Monaco che passa per Cortina d'Ampezzo".
Lui, che dice sempre che sono un matto, mi fa: "Franz, non siamo assolutamente allenati. Quando partiamo?".

Scapellati come eravamo, con le prime biciclette trovate in cantina, fissiamo la data di partenza per un'alba di fine Maggio, zaini in spalla e tanto ottimismo. All'appello siamo noi due, Pippo (il più giovane e all'epoca la mascotte del gruppo) e l'amico Piero. Praticamente la compagnia del panèo (n.d.r in italiano "pannello", gergalmente la palestra d'arrampicata di Sant'Alvise a Venezia, dove ci siamo conosciuti tutti).


Ia TAPPA
Destinazione? Arriviamo dove arriviamo.

Inforcate le biciclette e superato il Ponte della Libertà, attraversiamo il desolato centro di Mestre per raggiungere il Terraglio che ci porterà dritti dritti fino a Treviso. Aggirato il centro intorno alle storiche mura, per evitare le arterie principali che cominciavano ad essere trafficate, ci avventuriamo in un dedalo di stradine secondarie a nord della "marca gioiosa", passando per Arcade, fino a raggiungere località ponte della Priula. 
Da Conegliano raggiungiamo poi Vittorio Veneto, pedalando sulla irta dorsale di via Marcorà (Ogliano), dove iniziamo davvero a scaldare i motori.

Il tempo non è dei migliori, per cui dopo una piccola sosta alla base della scalina di Santa Augusta, decidiamo di muoverci in fretta verso il Fadalto. Alle prime salite il nostro trenino di biciclette si allunga fino a disperdersi. Ognuno col suo ritmo, infine, ci ritroviamo al passo sotto un diluvio proverbialmente universale, che ci constringe a fare tappa presso uno dei ristoranti locali. 
Una volta passato l'acquazzone decidiamo di scendere per la destra orografica del lago di Santa Croce. Stanchi e infreddoliti e completamente inzuppati arriviamo a Longarone, dove decidiamo di fermarci per la notte.

Troviamo un accogliente B&B, Casa Gilda, perfetto per chi vuole fare cicloturismo. I proprietari sono molto disponibili, camere pulite e colazione abbondante.

Totale 114km


IIa TAPPA
Partiamo di buonora lungo la ciclabile che costeggia la Piave e che tra paesi semi abbandonati ci porta a Perarolo di Cadore, ai piedi della famigerata Cavallera, dove ingaggiamo un'insensata sfida a perdifiato per arrivare sfiniti a Sottocastello. Di lì, seguitiamo a pedalare comodamente sulla bella ciclabile delle Dolomiti, fino a raggiungere San Vito di Cadore verso l'ora di pranzo.
 
Dopo una breve sosta, una birretta e qualche foto, decidiamo di tornare in pianura, con la solita destinazione: arriviamo dove arriviamo.

Affrontiamo lo stesso percorso dell'andata, decidendo da Longarone per la sinistra Piave. Saliamo il Fadalto sotto l'ennesimo diluvio, questa volta davvero fradici, decidendo di fermarci a dormire a Tarzo (Vittorio Veneto), dove ci raggiungono per la sera amici e morose.

Totale 126km


IIIa TAPPA
Il giorno seguente partiamo nel pomeriggio, con gran calma puntando a Treviso, per poi rientrare a Venezia via treno.

Totale 40,5km



Sul Ponte della Libertà

Ce la faremo?

Campagne

Gesti che parlano da soli

Il prosecco

Vittorio Veneto

Il nostro B&B preferito

Lungo la Piave

Il nostro piccolo traguardo 


San Vito di Cadore

L'arrivo a Treviso

lunedì 27 settembre 2021

“La Rota” al Rifugio San Marco

Resoconto di Enrico & Pippo.

Siete alla ricerca di un’alternativa ravanosa in zona San Vito di Cadore per passarvi una mezza giornata? Stanchi della solita strada per arrivare al Rifugio San Marco? Volete meritarvi davvero i rinomati canederli pressati al formaggio con l’insalata di cappuccio dell’orto?

La Rota è quello che fa per voi. 


Consigliati da Edy, che con la moglie Tania gestisce il summenzionato rifugio, decidiamo di approcciare questa alternativa via di salita praticata dai soli local, che ne conoscono il recondito accesso.

L’itinerario si svolge attraverso un bosco pensile, tra brevi risalti erbosi e ripidi pendii, sfruttando le debolezze della parete in località La Rota, sottostante il Col De Chi De Os.

Benché ci sia da metter giù le mani solo in un paio di punti, la salita è piuttosto faticosa, con un paio di traversi poco esposti dove è necessario avere passo fermo.

Al lettore non vogliamo svelare con troppe immagini l’originalità del percorso, che va individuato con un po’ di intuito, nonostante segnalato da vecchi bolli rossi cerchiarti di azzurro. Preferiamo infatti lasciare all’esperienza diretta la scoperta di questa simpatica alternativa, limitandoci ad una descrizione sommaria.

Parcheggiare l’auto in località Baita Sunbar e imboccare la strada forestale che costeggia il Rio Secco, a sinistra del capanno che ospita mezzi e macchine ad uso impianti sciistici. Dopo aver attraversato il ruscelletto, continuare sul percorso principale fino a raggiungere un albero (sx) con indicazioni per i rifugi Scotter e San Marco. Dalla biforcazione prendere la ripida strada che si diparte sulla sinistra (all'inizio non segnalata).


Si salgono le prime rampate senza esitazione, fino a quando la pista si trasforma in sentiero che sale a serpentine per radure ombrose, puntando alla parete di cui si intravedono, attraverso gli alberi, i tratti rocciosi. La necessità di aggirare qualche albero caduto può far perdere la traccia, ma che tutto sommato si snoda in modo abbastanza logico, basterà non perdere d’occhio gli sbiaditi segnavia che si trovano qua e là.

 

Giunti alla base della paretina non resta che seguire i bolli, per cenge erbose e qualche delicato salto di roccia (elementare), fino a raggiungere un’erta erbosa, alla cui sommità con gran soddisfazione si legge inciso su di un tronco mozzato il nome del troi.


A sinistra la traccia prosegue verso un punto panoramico sulla Valle del Boite, attenzione al salto imminente.
 

Tornati sui propri passi, si prosegue in quota lungo la cresta erbosa fino ad incrociare il sentiero n. 225 che sale da Val Podolada, in località Pra da Mason. Da lì, in una ventina di minuti si raggiunge il Rifugio San Marco.

domenica 26 settembre 2021

Volpera Brush Climbing 2021... E noi ci siamo andati


Resoconto di Enrico & Franz.

Domenica 26 settembre si è tenuto il Volpera Brush Climbing, un piccolo ritrovo annuale di sassismo organizzato dagli Scoiattoli di Cortina, che si svolge nel bosco di Campo/Mortisa.

E noi ci siamo andati.

Qualche settimana fa il Virgi, che gestisce il negozio Rock & Ice a Cortina D'Ampezzo, con cui era da un po' che si parlava di blocchi da scalare in giro per la valle, ci aveva spiegato che la manifestazione non si ripeteva da un paio di anni a causa della pandemia, ma che quest'anno si sarebbe finalmente potuta organizzare.

Alle 9:30 del fatidico giorno ci siamo quindi presentati (in ritardo) alla palestra di arrampicata Lino Lacedelli, Cortina 360, per l'iscrizione gratuita e una volta ricevuta la maglietta del festival (molto carina), abbiamo seguito la carovana fino a parcheggiare le auto in zona Mortisa.

Una volta arrivati abbiamo fatto gruppetto con dei ragazzi/ragazze molti simpatici di Cortina e di Sesto, scalando su alcuni blocchi suggeriti dallo stesso Virgi, davvero belli e strapiombanti che dovevano essere "di scaldo" e che invece ci hanno subito lessato le braccia :)))


Ci siamo poi spostati nella zona immediatamente sotto la strada, dove abbiamo salito altri blocchi fino a finirci completamente.


All'ora di pranzo il profumo di carne alla brace che nel frattempo veniva sapientemente grigliata "al piano di sopra" era talmente invitante, che ci ha definitivamente convinti che era arrivato il momento di mollare. 

In foto: La linea del blocco da liberare

Da lì in poi il pomeriggio è proseguito tra birrette e ciàcole, compresa una sortita del Virgi che ci ha mostrato altri boulder, a destra e sinistra della strada, in direzione Lago d'Ajal.

A seguire, estrazione dei premi sponsorizzati dalla stessa palestra di roccia, da Rock & Ice di Cortina e La Spotiva. Enrico ha avuto in sorte un sacchettino porta magnesite e una maglietta, mentre il Franz degli occhiali da pro. Non bastasse, ci siamo pure beccati una cassa di prosecco come bonus che ogni anno viene aggiudicato a chi viene da più lontano!

La cosa che più ci ha colpito è stata l'accoglienza e la simpatia del gruppo in generale, davvero lode al merito agli organizzatori. Insomma, il Volpera Brush Climbing più che un festival di bouldering è un conviviale ritrovo tra amici che festeggiano la fine dell'estate, ed è questo che ci è piaciuto (oltre al prosecco) e ci ha fatti sentire a casa.

Di seguito il link alle foto pubblicate sul gruppo Scoiattoli di Facebook.


P.S. Visto che rispetto ai local abbiamo avuto la conferma di essere dei brocchi totali, abbiamo deciso per il nuovo hasgtag #rovinassisuimassi 

sabato 25 settembre 2021

Torre Alba Maria, gruppo del Sorapis

Una ravanata (inaspettata) di Enrico & Pippo.

È il 25 settembre 2021, sono le quattro del pomeriggio e ci siamo appena svegliati da una salubre pennichella, distesi sul pratino alle spalle del rifugio San Marco, San Vito di Cadore.

La butto là: facciamo una sgambata alla forcella Grande? Pippo scatta in piedi e, in due e due quattro, ci ritroviamo sul sentiero che traversa la frana che scende dalla base del Torrione Giou Scuro ed altri avancorpi della Cima Belprà. Ed è proprio qui che guardando distrattamente verso l’alto la nostra attenzione viene catturata da un fugace bagliore. Che sarà? Andiamo a vedere? 

La balzana idea è di salire sulla cima destra, di quella che avremmo scoperto poi essere la torre Alba Maria, per balze e gradoni di roccia, ma si tratta di una improvvisata, per cui siamo ancora nel campo dell’ipotetico.

La torre, vista dal rifugio Scotter 

Presto detto, ci ritroviamo a rimontare le ghiaie con esercizi di equilibrismo, seguendo una flebile traccia che si snoda tra i baranci. Rimontiamo qualche masso e costeggiamo ora più facilmente la parete di sinistra. Mentre Pippo rimane poco indietro per un’improvvisa “chiamata alle armi”, fantastico sull’idea di salire il grigio calcare che si fa incombente sulle nostre teste. Ma qualcuno ci ha già preceduto nei fatti: una fila di spit ravvicinarti sale in verticale andando a finire chissà dove. Con entusiasmo informo Pippo della scoperta, ma non avendo alcuna attrezzatura ci resta poco da fare, se non starcene coi nasi all’insù ad immaginare un possibile prosieguo della via.

Camminiamo ora verso il fondo del canalone che separa le due cime ignote, convinti di poter trovare il modo di risalirlo, fino a quando incappiamo in qualcosa che mai ci saremmo aspettati. Una corda penzola dalla parete di destra, perdendosi tra i mughi una trentina di metri sopra. Dritto, davanti a noi, il canalone sembra comunque praticabile, ma quella corda esercita un richiamo irresistibile. Ci avviciniamo circospetti, ne valutiamo lo stato, proviamo a dare qualche strattone, sembra reggere. La scelta è presa, con la prudenza di non appenderci, ma di arrampicare tenendola, per così dire, a portata di mano...

I primi passaggi non sono affatto banali, la roccia è delicata e presto ci troviamo un po’ di aria sotto il sedere. Valutata nel complesso la difficoltà non superiore al I°-II°, con qualche passaggio di III°, decidiamo comunque di proseguire. Scopriamo poi che lo spezzone di corda è ancorato ad un chiodo e quello successivo ad alcune radici. Sembra un lavoro fatto bene, per cui decidiamo di fidarci, ovunque ci porterà.

Giungiamo ad un terrazzo alla base di una cengia inclinata che volge a destra, per renderci conto che si sarebbe comunque potuta evitare la parete risalendo il canalone abbandonato più sotto, che qui però diventa in ogni caso impraticabile. Con un po’ di apprensione risaliamo la rampa, che si fa mano mano più  esposta, fino a raggiungerne il culmine. Da lì, oltre un piccolo salto in discesa, parte un nuovo spezzone di corda assicurata dai nostri predecessori. Ci serviamo ora della stessa a mo’ di mancorrente lungo una cengia terrosa, meno esposta di quanto temessimo, grazie alla presenza della vegetazione sottostante. La cengia termina alla base di un canalino terroso dove la corda compie una rapida svolta verso l’alto. Lo risaliamo aggrappandoci ai mughi fino alla sua sommità.

Gli indizi terminano con le corde fisse e nessun ometto indica ora dove proseguire. Decidiamo quindi di risalire la cresta erbosa che strapiomba sui ghiaioni sottostanti la Cima Belprà, fin sotto la rocca finale della torre, che ci appare inespugnabile e marcia. Decidiamo quindi di costeggiare i ripidi prati ora in direzione sinistra, faccia a monte, nella convinzione di trovare il modo di vincere la cima salendola da dietro, per via facile.

Camminiamo su loppe erbose, cercando di memorizzare il percorso da compiere a ritroso e superando diversi canali pericolosamente simili al nostro, ma che sembrano poi saltare nel vuoto. Traversata qualche lingua di ghiaia mobile che scende dalla rocca, puntiamo a rimontare la spalla della torre, le cui retrovie sembrano seguire l’andamento dell’orografia delle cime attorno. Poco più in là individuiamo finalmente un impluvio con massi incastrati, che appare friabile, ma praticabile. Una volta sopra tornare indietro non sarà così scontato, ma decidiamo di provarci ugualmente.

Superato anche questo ostacolo ci appare ormai chiaro che la nostra intuizione era corretta e gli animi si rinfrancano. Procediamo ora per sfasciumi, fino a raggiungere una forcella dalla quale la vista precipita sul canalone che ci divide dalla più alta Cima Belprà. Che sia possibile arrivare qui anche da quel versante? Da qui in avanti il piano inclinato ci permette di camminare fino a raggiungere la placca finale, massimo I°+. Giunti in cresta, col cuore in gola e il rifugio San Marco sotto i piedi, traversiamo a a sinistra con fortissima esposizione, tenendoci su rocce marce, fino a toccare la vera cima, separata da un labile intaglio.

Scopriamo così che quel bagliore che ci aveva attratto a sé fin da principio, altro non è che un piccolo specchietto, incastonato nella roccia da chissà quale mano. Inutile descrivere la nostra piccola felicità, la vista sull’Antelao è da qui magnifica anche se l’altezza del nostro belvedere è modesta. Alle nostre spalle altre torri, altri canali inesplorati che sembrano poter portarci ancora più su.. chissà, forse c’è un modo per attraversare quel labirinto e poter raggiungere il Torrione del Giou Scuro e quindi Forcella Grande? Ma sono solo fantasie, è tardi e il sole sta già tramontando, l’accorciarsi delle giornate ci costringe ad una rapida ritirata, senza tralasciare che la discesa si preannuncia impegnativa.

Con qualche peripezia torniamo ai prati inclinati e, in senso inverso, ripercorriamo fedelmente il percorso seguito all’andata, sempre attenti a non perdere l’orientamento, fino a raggiungere la cresta aerea e discendere quindi il canalino erboso. Una volta depositati sulla cengia, risaliamo il muretto e con un balzo siamo sulla prima cengia inclinata. Da lì, pur prospettandosi l’opportunità di raggiungere poco più sotto il fondo del canale principale e scendere a piedi, decidiamo di calarci per la parete iniziale, questa volta appendendoci alla corda. Quando posiamo i piedi a terra siamo ancora su di giri per l’adrenalina.

Al rifugio, interpelliamo subito Edy per chiedere se sia stato lui ad attrezzare la via. Lui risponde che ha attrezzato in giro qualche monotiro, ma che no, non è stato lui bensì il Soccorso alpino di San Vito di Cadore, in occasione della cerimonia di commemorazione dei compagni caduti durante la sfortunatamente nota operazione di soccorso sul Monte Pelmo, era il 2011.

Impressionati dalla rivelazione, quel pezzo di specchio posto sulla cima assume un significato ben più profondo di quanto immaginassimo. Ce ne torniamo a valle in silenzio, persi ognuno nei propri pensieri. Chissà se quelle corde le ritroveremo anche l’anno prossimo, e in tal caso, se ci si potrà ancora fidare.

Segue il racconto fotografico della ravanata.


La frana iniziale e il rifugio San Marco sullo sfondo

La paretina spittata

Il restringimento del canalone

Una corda penzola dalla parete di destra

Salendo la parete

Ancoraggi

Sulla parete


Sul terrazzo, sopra la parete

La cengia inclinata

Un'altra corda prosegue tra i mughi

Pippo risale il canalino terroso

Dal culmine del canalino

Pippo su loppe

Ancora Pippo su loppe

L'impluvio friabile

La cima vista da dietro

Vista sul Pelmo

Sulla forcella prima della vetta

Felicità

Vista sulla Forcella Piccola

Discesa alternativa all'infido impluvio

Il Giou Scuro e in secondo piano Punta Taiola

Le rocce marce sommitali

In discesa sulla prima parete



mercoledì 22 settembre 2021

Bouldering a Cortina d'Ampezzo? si può fare!

Un post di Enrico & Franz.

Nell'estate del 2020, in una giornata di pioggia, ravanando in cerca di blocchi da salire in zona Cortina d'Ampezzo (BL), siamo incappati in un'area di boulder nei pressi di Mortisa, dove abbiamo salito qualche linea che ci pareva praticabile, nonostante il muschio crescesse abbondante sulla sommità degli stessi.

Oggi, dopo due estati di arrampicata e di grandi pulizie abbiamo deciso di scriverne in questo blog per ragioni molto semplici: fare il punto sul lavoro svolto e invogliare qualcuno a seguire le nostre orme... 

I blocchi sono (quasi) tutti entry-level, considerata la modesta altezza, ma soprattutto il tipo di roccia (non è granito). Il bosco è molto bello e l'accesso è semplice.

Per saperne di più vai alla pagina dedicata.