sabato 4 settembre 2021

Un tentativo alla Rocchetta Bassa del Bosconero

Un resoconto di Enrico.

E' il 4 settembre 2021, il tempo è ottimo e io e Dario siamo elettrizzati all'idea di salire la cima di uno dei gruppi più belli e selvaggi delle Dolomiti Orientali: la Rocchetta Bassa del Bosconero. La sera precedente avevamo consultato la guida "Wild Dolomiti - I percorsi più selvaggi" (Vividolomiti Edizioni, 2013), che descrive la salita con dovizia di particolari, e scattato qualche foto col cellulare in modo da poterla consultare sul posto.


Parcheggiamo lungo la Val di Zoldo, località Lago di Pontesei, per imboccare il sentiero che conduce al Rifugio Bosconero (q. 1457 m), affollato di turisti. Ordiniamo due Radler, ma non hanno la limonata perciò non se ne fa nulla. Proseguiamo oltre fino a raggiungere il limitare del bosco, seguitando per il sentiero CAI n. 485, che risale a serpentine le propaggini dell'ampio ghiaione che scende dalla base della parete antistante.


Già si individua la nostra meta sulla destra, faccia rivolta a monte, che fa da contrappunto alla Rochetta Alta dritta a noi. Da una curva netta a sinistra si stacca una traccia segnalata da ometti, che punta chiaramente alla base della parete, con le sue vie alpinistiche che incutono rispetto e soggezione. Seguitiamo a destra per il sentierino che costeggia il versante, fino ad affacciarci sul canalone che divide la Rocchetta Bassa dalla sorella maggiore, alla cui base un ampio nevaio non permette di traversare in quota.

Decidiamo di scendere la ripida scarpata che conduce al fondo del canalone, dove il nevaio termina, nella speranza di individuare un qualche indizio sulla via di salita. Sfortunatamente non troviamo altri ometti e non c'è davvero traccia alcuna di passaggio che ci faccia pensare che di recente qualcuno sia passato di qui prima di noi. Ma il morale è alto e la determinazione è tanta.

Rimontiamo con fatica i grossi massi dalla parte bassa del canalone, tenendoci sulla sinistra orografica. Il percorso è labirintico, accidentato e faticoso. E quando non c'è da metter giù le mani si cammina su ghiaie mobili.

Le pareti si fanno incombenti sopra di noi, tanto che decidiamo di indossare i caschetti. Troviamo altri resti di nevai tristemente prossimi allo scioglimento, che in qualche modo riusciamo ad aggirare, fino ad arrivare ad un primo collo di bottiglia. Arrampichiamo il gradone sulla liscia parete di destra, per poi proseguire in direzione della forcella, che ci pare di scorgere un centinaio di metri più in alto. Arriviamo in breve ad un secondo restringimento del canalone, che in guida viene descritto come il passaggio chiave.

Si tratta di una specie di diedrino verticale alto 4 o 5 metri, la cui roccia ci appare subito friabile. Quando arriviamo alla base, per toccare con mano, ci rendiamo conto che definirla 'roccia' è piuttosto un eufemismo: si tratta infatti di una specie di conglomerato di piccole scaglie di calcare, tenute insieme dalla sabbia.

Dario tira fuori dallo zaino uno spezzone di corda, che mi lego in vita "alla vecchia" per una improvvisata sicura a spalla. A metà del diedro c'è una sorta di piccolo gradino, ed è su quello che mi ritrovo presto in crisi. Il passaggio è occluso da un grosso masso incastrato che provo ad abbracciare, ma gli appoggi sono del tutto aleatori. Inoltre sorge la preoccupazione che lo stesso masso, sottoposto a sollecitazione, possa venire giù.

Nella guida c'è scritto che è possibile evitare il camino arrampicando, su difficoltà più elevate, la paretina di destra. Confronto la foto del libro con quanto mi ritrovo davanti agli occhi e proprio non ci siamo: la paretina è stata nel frattempo erosa e i pochi appigli disponibili sono davvero piccoli e si sgretolano sotto le dita.

Dopo qualche altro maldestro tentativo di salire a sinistra e a destra dell'ostacolo, ci guardiamo l'un l'altro con i musi lunghi: non c'è modo di passare, almeno con queste condizioni. Alla base, tra i sassi, trovo i resti di un cordino, probabilmente attrezzato da qualcuno in passato, ma ormai inservibile.

Torniamo con le pive nel sacco. La giornata è comunque splendida e l'ambiente selvaggio del canalone ci rimane impresso nel cuore. Scendiamo al rifugio, ma non facciamo altro che guardare indietro, rimuginando su un'altra possibile via di salita. 

Si accettano scommesse per il prossimo anno!


venerdì 20 agosto 2021

Sul Becco della Muraglia (la seconda volta)

Una ravanata di Enrico, Pippo & Dario.

La seconda volta che saliamo il Becco della Muraglia (perché la prima volta ci siamo imbaranciati di brutto), parcheggiamo l'auto presso un tornante sopra Malga Giau, dove abbiamo prima pasteggiato, e con gran gaudio. Il becco è una minuta punta isolata che si stacca dal Nuvolau e dalla base della quale la nota Muraglia.

Traversiamo la strada asfaltata esattamente qui (46.49219419462591, 12.061595616261412) e rimontiamo la sponda opposta, riuscendo ad individuare una sorta di varco tra la vegetazione, che ci appare praticabile. Non c'è sentiero, per cui prendiamo a salire il pendio tra mughi, alberelli e rocce affioranti dal sottobosco, puntando a guadagnare quota fino a raggiungere ad una sorta di impluvio, che si legge bene anche sulle carte, dove posiamo alcuni rami secchi sul tronco di un albero, quale segnavia per poter ritrovare il cammino a ritroso.

Il terreno si fa via via più agevole, camminiamo infatti per magri pascoli punteggiati da grossi massi fino a giungere alla vista del sentiero CAI 443, che corre in direzione Rifugio Scoiattoli parallelo al nostro percorso, diviso da una sorta di voragine detritica. All'incirca dove sull'altro versante si diparte il sentiero n. 438, che risale il costone sud-est della Gusela, noi muoviamo i primi passi per un pendio di roccia gradinata poco esposta e divertente da scalare (EEA/I°), vedi foto sotto.




In cresta traversiamo gioiosamente i mughi, puntando poi ad un restringimento un po' esposto sotto un grosso roccione giallo marcio, alla base del quale risaliamo un canalino franoso verso destra. 


Da qui in pochi passi raggiungiamo la forcelletta da cui si attacca il tratto terminale della salita, una paretina con passaggi I°/II° a seconda di come la si affronta. Attenzione perché l'esposizione si fa sentire man mano che si sale, soprattutto a destra (faccia a monte) sopra la parete principale del Becco.



Come recitano le guide, "con facile e divertente arrampicata" si giunge presto in vetta, dove è posta una crocetta di legno, con vista davvero magnifica sulle 5 Torri e le Tofane sullo sfondo.


Ritorniamo allegramente sui nostri passi fino a ritrovare (esattamente!) lo stesso percorso di salita.
Attenzione alla discesa dalla cima, perché è la parte più perigliosa della remunerativa, sebbene breve, ravanata. 

Utile uno spezzone di corda, che noi abbiamo fatto, inutilmente, portare a Pippo :)

lunedì 16 agosto 2021

La Cima Piatta Bassa e sue le meraviglie

Un resoconto di Enrico.

Visto che il tempo non promette bene, ma nelle gambe c'è comunque voglia di andare, il 16 agosto 2021 decidiamo di puntare ad una cima dall'impegno non eccessivo, di cui il Morelli ci aveva decantato le bellezze geologiche.

All'appello siamo io, Rachele, Pippo e Dario. Parcheggiamo l'auto all'imbocco della val Campo di Dentro - Parco delle Tre Cime - tra San Candido e Sesto. Il tempo è uggioso, motivo per cui non si vedono altri bipedi in giro.


Superiamo il Rifugio Tre Scarperi per proseguire verso il monte Mattina, attraverso il fondovalle invaso dalle nebbie, ma siamo presto costretti a trovare riparo dalla pioggia sotto un grosso masso che, nell'attesa, diventa un boulder su cui provare alcuni traversi.

Sostiamo lì per una buona mezz'ora e quando sembra proprio che non ci sia più speranza, il tempo sballa. Camminiamo ora un po' intirizziti dal freddo fino a raggiungere un grosso masso, dove troviamo le indicazioni per la Forcella del Lago. Seguitiamo per il sentiero n. 9 per abbandonarlo dopo poco e imboccare un'evidente traccia che rimonta delle balze baranciose sulla destra. Il fondo è bagnato e il terriccio, in un alcuni punti dove la pendenza si fa più marcata, diventa scivoloso.

Ci alziamo presto di quota tra i mughi, fino ad affacciarci sull'ampio vallone erboso a sinistra degli spalti della Cima Piatta Bassa, dove proseguiamo liberamente per pascoli prativi. A destra si stacca una traccia a tagliare il pendio dello zoccolo basale della cima; noi invece decidiamo di puntare dritti all'ampia forcella, tenendoci comunque sulla sinistra orografica del versante.


Proseguiamo per gradini erbosi fino a raggiungere il circo terminale del vallone (q. 2400 m. circa), da dove si gode della vista della più alta Forcella del Lago. Ci ritroviamo ora indecisi sulla via di salita, che non è segnalata in alcun modo e affidandoci all'intuito decidiamo di risalire lo spallone detritico che rimonta a destra e che sembra poter condurre alla vetta.



Il percorso prosegue ora con bella esposizione sulla valle del Carbon. Ravaniamo per roccette fino a raggiungere il traliccio di vetta (q. 2581 m.). Sterco di capra ovunque, al punto che pare davvero impossibile trovare un masso pulito su cui appoggiare le chiappe per mangiare i panini.


Nonostante qualche apertura il tempo è piuttosto nuvoloso, perciò decidiamo di scendere per il digradante pianoro (versante N) fino a raggiungere la nota particolarità geologica che fa di questa cima la sua originalità.


Scendiamo lungo il mare di piccole lapidi appuntite fino a raggiungere una zona prativa dove è presente un grosso cumulo di rocce. Seguiamo gli ometti posti sul bordo del declivio a sinistra, a segnalare l'imminente salto, fino a raggiungere il termine del piano inclinato. Indecisi sul da farsi, scendiamo ancora fino a raggiungere una forcella (q. 2355 m.), dove una traccia rimonta la tozza cima sul versante opposto, che per l'occasione ribattezziamo "Cima Piatta Bassissima", e che offre una bella vista sulla Val Campo di Dentro. Saliamo anche quella nella speranza di individuare dall'alto una possibile via di discesa... e adesso?


La truppa è indecisa e il tempo non accenna a migliorare, ma alla fine viene approvata all'unanimità una proposta esplorativa: tornare alla forcella appena lasciata e scendere per le ripide ghiaie che sembrano terminare nella mugheta a valle (versante di salita). A quel punto si vedrà se saremo costretti ad aprirci un varco tra i baranci o peggio, tornare su.

La serpentina si fa, mano mano, più evidente e il percorso appare possibile, anche se non se ne faceva menzione sulla guida che avevamo consultato la sera precedente. Raggiungiamo la mugheta (q. 2200 m.) e traversiamo in quota fino a raggiungere il tratto iniziale del vallone, dove finalmente sostiamo per il pranzo al sacco. Una volta individuato l'imbocco del sentiero percorso in salita, scendiamo tranquillamente a valle.

Quella alla Cima Piatta Bassa è stata una delle più belle gite dell'estate 2021 e, pur non essendo elevata, l'ambiente e l'isolamento la rende magnifica: il Morelli aveva ragione. La ravanativa finale ha poi aggiunto un po' di pepe alla giornata. Attenzione solo alla quantità di varianti che appaiono possibili, sia in salita che in discesa, segnalate da ometti che spesso confondono nell'orientamento.

Tappa obbligata sulla via del ritorno al Tre Scarperi.