martedì 30 aprile 2024

Legne in Gallura

Una boulderata di Enry e Enzo, e di come le abbiamo prese di santa ragione.

Qualche mese fa abbiamo acquistato a scatola chiusa due biglietti aerei per il ponte del 25 aprile: destinazione "andiamo a fare blocchi in Gallura". Da mesi ci preparavamo per questo momento, mesi di duro allenamento per arrivare al top fisico (più che altro sollevamento birre), per portare a casa il grado (anche se poi con Ryanair ti fanno pagare l'eccedenza), insomma parola d'ordine: performance.

Siamo gasatissimi quando nel pomeriggio partiamo con l'auto da Venezia, parcheggiamo all'aeroporto di Bologna, ci montano su una navetta, saltiamo sul fiammante 737 giallo e blu, atterriamo a Olbia, noleggiamo un'auto ficosa per farci stare dentro i pad, guidiamo nella notte gallurese fino a raggiungere l'appartamentino sperduto dei ragazzi dei Primitive, dove finalmente crolliamo sui materassi.


I° giorno

I ragazzi dei Primitive ci affittano pure dei nuovissimi Brazz, ma belli pesanti, così l'indomani siamo diretti verso la prima area da esplorare: i blocchi dell'agriturismo Lu Branu. Il posto è magnifico, c'è un vento fortissimo e le aspettative sono alte. Ecco, questo è il problema in generale: le aspettative. Per la verità tutti ci avevano messo in guardia, "attenzione ai gradi, sono strettini", "è tutto duro", "okkio che son pali", ma noi arroganti, noi pieni di illusioni, noi che siamo brocchi a immaginarci verso l'infinito e oltre. Ma va là... In ogni caso il battesimo con il quarzoso granito è la prima vera prova, del resto Demetrio, dei Primitive, ci aveva ammoniti: "gestitevi la pelle". Ci si scalda sul quinto e poi si punta al sesto, dove prendiamo le prime legnate cominciando a bofonchiare "ma no xe un 6a...", e questo sarà il mantra dell'intera vacanza. Sì, perché mancano i piedi per le partenze, è tutto svaso, la roccia è dolorosa e l'altezza di alcuni blocchi è da spit... Anyway, si scala quel che si può, perché è comunque bellissimo.






II° giorno

Camilla, dei Primitive, ci consiglia di andare a Le Piscine, una graziosa conca sulla costa vicino a Palau, dove ci sono blocchi per tutti i livelli. Appena arriviamo gli occhi si riempiono di un azzurro detonante, le forme delle rocce sono qui davvero ammalianti ed è tutto perfetto. Puntiamo ad un grosso masso che domina il paesaggio, con la sommità a forma di pinna strapiombante che sormonta una grande nicchia, dove ci scattiamo delle belle foto. La roccia anche qui è bella tagliente e la pelle in sofferenza dal giorno precedente. Esploriamo la zona, ma non riusciamo a trovare delle linee alla nostra portata: dove saranno gli "scaldi" di cui ci aveva parlato Camilla? Io vedo solo severi strapiombi smagnesati e comunque fa già troppo caldo. 




Dopo aver cazzeggiato in giro decidiamo di spostarci per andare, nel pomeriggio, a scalare nell'entroterra, in zona La Cerra, a circa 40 minuti dalla costa. Il viaggio tra le colline punteggiate dai monoliti è davvero piacevole. Giungiamo all'agriturismo dove Alberto, il proprietario dello stazzo, ci accoglie dandoci indicazioni sull'area blocchi più vicina denominata "Somewhere". Con fatica prendiamo a salire lo stretto sentiero dove ci facciamo strada nel fitto della macchia, tra Ginestre e Pungitopo, senza contare lo scazzo di trascinarsi appresso i tre crash, che si impigliano in continuazione. Bestemmie. Passiamo il pomeriggio a provare blocchi che sarebbero anche carini, sebbene da pulire da bachi e ragnatele, finché esausti e pieni di tagli facciamo ritorno all'agriturismo, dove decidiamo di fermarci per la cena. Mentre sorseggiamo dell'ottimo vino rosso ci tiene compagnia Paco, il morbido Labrador, vero padrone di casa, che si prende una bella dose di coccole. Lo spezzatino di cinghiale si scioglie letteralmente in bocca.


III° giorno

Un po' provati nel fisico e nel morale dalle giornate trascorse, decidiamo di andare a scalare nel celeberrimo "Parco giochi de li conchi" ad Arzachena. Parcheggiamo l'auto lungo la strada a fianco del piazzale e rimaniamo subito incantati dalle forme dei grossi massi. Ci scaldiamo sul primo che incontriamo (anche qui "ma no xe un 6a...") e poi decidiamo finalmente di ignorare il grado puntando alle linee che più ci attirano, senza consultare la guida. E ne troviamo di belle, tra avvincenti traversi e divertenti strapiombetti. Conosciamo anche dei ragazzi di Lecco con cui saliamo qualche sasso assieme. Bello. Poi trascorriamo il pomeriggio all'ombra di alte pareti, dove proviamo altre linee in compagnia di una gattina grigia avida di carezze, vedi foto. E' finita, la pelle è andata, le braccia anche, decidiamo di puntare a quello che ci riesce meglio: andiamo a bere.







Considerazioni finali sulla nostra vacanzina.

1) In Gallura i gradi sono più duri, ma perchè? Scopriamolo assieme. Ci hanno spiegato che è tutta "colpa" dell'iniziativa Sardinia Bloc Scouting, tutta gente fichissima e fortissima che nel 2013 ha tracciato cose di cui in rete si trova una bella guida in free-to-downalod. Ovviamente è gente che ha un altro livello. Ci vorrebbe una guida per boulderisti "wannabe" come noi, in cui i gradi vengano un attimo riconsiderati...

2) Bisogna ambientarsi, ci vuole tempo per capire il granito per chi scala per lo più sul calcare e si affida a buchi e tacche da stringere alla morte. Qui è tutto uno smanacciare, un comprimere, uno spingere su piedi inesistenti e il quarzo consuma i calli in fretta.

3) Per godersi i blocchi più belli bisognerebbe tenersi, questa è la vera e assoluta lezione di cui far tesoro. Ma torneremo! Nel frattempo legne vez, legne...

4) Camilla, ma dove xe 'sti scaldi??? 😂😂😂

domenica 18 febbraio 2024

Scalare non serve a niente, come la poesia (integrale)

Una riflessione semiseria sul senso dell'arrampicarsi.

In questo periodo dell'anno, notoriamente blues un po' per tutti, si mette in moto la macchina dei pensierini. E non c'è modo di fermare questo minipimer mentale che diventa, sovente, un tantino estenuante. Perché ci si arrovella sempre sulle stesse cose, sull'elenco infinito dei "ma se...", finendo per camminare in tondo fino a scavare un solco che suona sempre la stessa canzone, come un disco rotto. 


Mi sono ritrovato per l’ennesima volta a riflettere sul ruolo dell'arrampicata nella vita di tutti i giorni. Giorni pieni di attese, frustrazioni, pali presi in faccia e rare rivincite su me stesso. A volte mi accorgo di avere l'autostima così bassa che mi domando: ma perchè mi piace così tanto fare una cosa che, al contrario, mi riesce in modo così mediocre? E allora, che senso ha continuare ad allenarsi, cercare nuovi progetti, immaginare viaggi se poi sono solo delusioni?

Quando in palestra vedo gli altri saltare come scoiattoli da una presa all'altra, su blocchi per me del tutto inaccessibili, mi ritrovo nei panni di mio suocero quando nel 2024 continua a ripetermi, davanti all'ennesimo grappino, che il VI° non esiste. E il morale cola a picco. Uno nella vita dovrebbe assecondare le proprie inclinazioni e, possibilmente, investire in quello che gli viene meglio. Almeno così ci hanno insegnato i nostri genitori. Se uno non sa cucinare nemmeno due uova al tegame è forse inutile che provi a partecipare alle selezioni di Master Chef. O forse no, uno dovrebbe fare quello che gli pare, anche se "il ragazzo non è portato"? 

Mentre annaspavo in queste considerazioni esistenziali, mi sono per caso ricordato di quello che il mio prof. di italiano del liceo rispose quando qualcuno ebbe a chiedergli perché avesse deciso di insegnare lettere e che cosa ci trovasse di tanto interessante nella poesia. “Perché la poesia non serve a niente.” fu la risposta. Rimasi di stucco. 

Ecco, allo stesso modo, se ci pensate, scalare non serve a niente. Posto che, visti da un osservatore alieno la maggior parte dei nostri comportamenti non avrà alcun senso, probabilmente la razza umana risulterà agli occhi dei vicini marziani piuttosto bizzarra: ci sono degli ominidi che passano il loro tempo libero a salire su detriti rocciosi alti appena pochi metri. Poi si ritrovano a bere bevande di cereali fermentate in acqua, e la sagra delle assurdità potrebbe continuare...

Scalare non serve a niente, è questo il bello. Proprio per questo mi piace in modo assurdo, senza che nemmeno io sappia bene perché. Perché mi da' un gusto incredibile passare la giornata col culo sul crash a provare la partenza di un blocco, anche se non chiudo niente e torno a casa tutto ammaccato, ma felice. Perché se questa cosa inutile mi rende felice, allora la risposta è tutta qui.

La bellezza del senso dell'inutilità risiede nel suo potere di trasformare la vita di tutti i giorni in qualcosa di straordinario, perché è proprio in quei momenti di apparente mancanza di scopo, che abbracciamo la roccia senza altra ragione che per il puro piacere di farlo. 

E intanto prendo pali.

Post pubblicato in "Preferisco Ghisarmi", la newsletter #23: sull'utilità dell'arrampicata.

martedì 16 gennaio 2024

Fadalto block, ne abbiamo?

Una entry di Enrico e il Franz.

Lo sapevate che ci sono dei blocchi, ma proprio belli belli in modo assurdo (mah...), nella Val Lapisina appena fuori Vittorio Veneto nord? Beh, sapevatelo.

Un paio di settimane fa, siamo diretti sulla sella del Fadalto per salire qualche linea che ci aveva già indicato il Virgi, quando, nel mentre che percorriamo il viadotto autostradale, la nostra attenzione viene catturata da una strana altura sulla sinistra, dove campeggiano alcuni sassi. Presi dall'euforia decidiamo di andare ad esplorare la zona, che non fatichiamo a trovare. L'area si presenta come un piacevole boschetto rado, utilizzato a quanto pare come circuito per il motocross. Ma di "motorette scurreggianti" (cit.) noi non ne abbiamo viste.

Dopo aver battuto la radura, individuiamo almeno tre blocchi di roccia buona, probabilmente mai saliti, a giudicare dalla mancanza di segni di passaggio altrui, tipo smagnesate o residui di scarpetta. Non si tratta di tanta roba, ma sono i primi blocchi che si incontrano arrivando dalla pianura, la zona è esposta a sud e quindi si scala d'inverno. L'ambiente è gradevole e zero avvicinamento. Nell'immagine sottostante l'individuazione dei nostri sassetti.


Per raggiungerli percorriamo la Statale 51 e all'ingresso dell'abitato di Nove imbocchiamo la strada Via Divisione Julia, che porta alla onomina sede degli Alpini, dove parcheggiamo l'auto imbottita di crash.

Blocco 1

Blocco 2


Blocco 3

Al primo giro saliamo qualche blocco, così la domenica successiva 14 gennaio 2024, torniamo sul luogo del delitto con gli amici del Boulder Pork, Enzo e Alberto. Il cielo è sereno e tira un vento gelido, ma riusciamo comunque a scalare tutto il giorno e ripulire due nuove linee.

Ovviamente stiamo parlando di tre blocchi, ma noi ci divertiamo con poco. Il nostro invito è di venire a stampare queste linee, anche carine, di cui una dura, ma tipo dura dura e che non è ancora stata liberata (la B nella foto sopra).

Per scaldarsi è possibile fare dei traversi su sassi resinati da misteriosi local, alla base dell'evidente grande masso a destra della strada di accesso, sul cui culmine spicca un pennone, al momento disadorno.

Buon divertimento. Se questa valle non fosse stata stuprata dall'autostrada sarebbe un posto magnifico, ma forse lo è ancora, in qualche suo angolo recondito. Tra l'altro, proprio di fianco c'è il "Kilometro 19", pub da bikers con birre e panini al top.

Alcune foto delle bellissimissime giornate.











mercoledì 23 agosto 2023

Variante di salita alla cengia Paolina

Una ravanata di Andrea, con Enry, Pippo & Dario.

Per festeggiare i suoi 66 anni, Andrea si vuole regalare una bella avventura in compagnia. Da diversi anni favoleggiava di riuscire a salire alla cengia Paolina direttamente dal fondo della Val Travenanzes.  A dire la verità quando ti ritrovi con naso all'insù a rimirare le pareti nerastre di quella parte terminale della valle, così incombenti sul Ru Traenànzes, non ti verrebbe mai in mente di poter trovare un passaggio senza dover ricorrere a mezzi alpinistici. E invece un sistema di cenge recondite consente di superare il gradino roccioso, per un sentiero di arroccamento militare austriaco della prima grande guerra.

Dopo aver minuziosamente studiato per anni dai versanti opposti e dalle cime dirimpettaie le possibilità di salita, Andrea è incappato in una relazione pubblicata sulla rivista Le Alpi Venete, numero 1, I° semestre 2023, intitolata "Salita dal ponte di fondovalle alla Cengia Paolina". Ed è da quella che prendiamo le mosse il 23 agosto 2023.

La nostra gita ha principio dal ponte di legno a forma di angolo retto che si incontra circa a quota 1780 mt s.l.m, lungo il sentiero CAI n. 401. Andrea ha con sé un altimetro da polso. Tagliamo per vaghe tracce tra i massi in direzione di un rudere poco sopra, visibile già dal sentiero (dx orografica della valle). Il sottoscritto ritrova sulle ghiaie un caricatore munito di proiettile inesploso, che decidiamo di lasciare sul luogo, come ogni altro ritrovamento bellico rinvenuto lungo il percorso. La baracca del comando austriaco, addossata alla parete, presenta al suo interno alcuni resti del "pareccio" ed una finestra con un vetro originale rimasto addirittura intatto. 

La relazione indica di proseguire verso destra, su per un pendio di ghiaie e zolle erbose un poco esposto, dove la traccia è segnalata da diversi ometti di roccia. Una volta giunti sotto la parete soprastante, a quota 1850 mt circa, Andrea propone di percorrere un tratto di cengia che volge a destra, che dopo circa un centinaio di metri presenta però un traverso esposto su roccia inaffidabile. Decidiamo quindi di rimandare questa esplorazione per una prossima puntata, giriamo i tacchi e torniamo a seguire pedissequamente la relazione, proseguendo sulla medesima cengia, ma questa volta in direzione sinistra. L'ambiente è davvero suggestivo, soprattutto considerato l'interesse storico, tra resti di postazioni, lattame made in Norvegia e grovigli di filo spinato, che servivano a sbarrare l'accesso al nemico.

La cengia prosegue in lieve salita e pur non presentando particolare esposizione, si comincia a percepirne l'altezza rispetto al fondo valle, mano mano che si avanza. Al termine della cengia si perviene ad un vallone dove la traccia si snoda in modo logico dapprima tra i mughi e poi su un ambiente prativo. Saliamo senza percorso obbligato puntando diritto ad una fascia rocciosa più in alto, nel punto in cui la roccia ci appare bagnata, e costeggiandola ora verso destra per un canalino con pendenza che si fa più marcata. Raggiungiamo così una nuova cengia da inforcare verso sinistra che conduce sulla parte superiore dell'ampio vallone detritico che scende da circo glaciale di Potofana. Sopra di noi la cengia Paolina risulta già ben visibile. 

Tagliamo in diagonale il ghiaione da destra a sinistra (faccia a monte), rinvenendo vari cimeli di guerra tra cui una gavetta in buono stato, i resti di uno scarpone, una pala divorata dalla ruggine e ovunque molto lattame. Proseguiamo fuori traccia scavalcando alcune modeste fasce di roccia instabile, fino a raggiungere il tracciato della Paolina a quota 2300 mt circa. In questa giornata di sole ardente, fortunatamente alcune nuvole ci fanno da ombrello lungo il percorso che ci conduce, lungamente e con non poca fatica, alla forcella che si affaccia infine sul Vallon di Ra Ola.

Da qui in poi solo divertimento, giù a scapicollo a saltare come improvvidi camosci sulle mobili ghiaie del ripidissimo canalone. Una volta raggiunto nuovamente il sentiero n. 401,  manteniamo fede alla tradizione godendoci un rigenerante pediluvio sulle gelide acque del torrente, seduti sui sassi squadrati che permettono di traversare il ruscello. 

I festeggiamenti proseguono con birre e skiwasser sulle rive del Boite. Le gambe sono stanche, ma il morale è alto quando ci sediamo a tavola a Malga Misurina e i calici tintinnano ricolmi di eccellente Pinot noir. Tanti auguri Andrea!!!

Segue il racconto fotografico della giornata.



Per vaghe tracce tra i massi, in direzione della baracca.

Pippo e la baracca.

La traccia che diparte a destra della baracca.

Dario e Andrea salgono il pendio di zolle erbose.

Vista della cengia verso destra, a 1850 mt circa.

Vista della cengia verso sinistra.

Perplessità sul percorso da intraprendere.

Lungo la cengia.

Andrea.

Resti di filo spinato.

"Rinforzando" un ometto.

Vista del vallone, appena fuori dalla cengia.

Pausa cioccolata.

Una gavetta.

Uno scarpone.

Il ghiaione dei ritrovamenti bellici.

Primi passi sulla cengia Paolina, in alto il circo glaciale di Potofana.

Sulla cengia Paolina.

Dario e Pippo risalgono detriti.

Il festeggiato.

Andrea ravana.

Pippo e i suoi perigliosi traversi.

Ultimi passi (ripidi) verso la forcella sul Vallon di Ra Ola.

Enry & Andrea.

Il Vallon.