domenica 18 febbraio 2024

Scalare non serve a niente, come la poesia (integrale)

Una riflessione semiseria sul senso dell'arrampicarsi.

In questo periodo dell'anno, notoriamente blues un po' per tutti, si mette in moto la macchina dei pensierini. E non c'è modo di fermare questo minipimer mentale che diventa, sovente, un tantino estenuante. Perché ci si arrovella sempre sulle stesse cose, sull'elenco infinito dei "ma se...", finendo per camminare in tondo fino a scavare un solco che suona sempre la stessa canzone, come un disco rotto. 


Mi sono ritrovato per l’ennesima volta a riflettere sul ruolo dell'arrampicata nella vita di tutti i giorni. Giorni pieni di attese, frustrazioni, pali presi in faccia e rare rivincite su me stesso. A volte mi accorgo di avere l'autostima così bassa che mi domando: ma perchè mi piace così tanto fare una cosa che, al contrario, mi riesce in modo così mediocre? E allora, che senso ha continuare ad allenarsi, cercare nuovi progetti, immaginare viaggi se poi sono solo delusioni?

Quando in palestra vedo gli altri saltare come scoiattoli da una presa all'altra, su blocchi per me del tutto inaccessibili, mi ritrovo nei panni di mio suocero quando nel 2024 continua a ripetermi, davanti all'ennesimo grappino, che il VI° non esiste. E il morale cola a picco. Uno nella vita dovrebbe assecondare le proprie inclinazioni e, possibilmente, investire in quello che gli viene meglio. Almeno così ci hanno insegnato i nostri genitori. Se uno non sa cucinare nemmeno due uova al tegame è forse inutile che provi a partecipare alle selezioni di Master Chef. O forse no, uno dovrebbe fare quello che gli pare, anche se "il ragazzo non è portato"? 

Mentre annaspavo in queste considerazioni esistenziali, mi sono per caso ricordato di quello che il mio prof. di italiano del liceo rispose quando qualcuno ebbe a chiedergli perché avesse deciso di insegnare lettere e che cosa ci trovasse di tanto interessante nella poesia. “Perché la poesia non serve a niente.” fu la risposta. Rimasi di stucco. 

Ecco, allo stesso modo, se ci pensate, scalare non serve a niente. Posto che, visti da un osservatore alieno la maggior parte dei nostri comportamenti non avrà alcun senso, probabilmente la razza umana risulterà agli occhi dei vicini marziani piuttosto bizzarra: ci sono degli ominidi che passano il loro tempo libero a salire su detriti rocciosi alti appena pochi metri. Poi si ritrovano a bere bevande di cereali fermentate in acqua, e la sagra delle assurdità potrebbe continuare...

Scalare non serve a niente, è questo il bello. Proprio per questo mi piace in modo assurdo, senza che nemmeno io sappia bene perché. Perché mi da' un gusto incredibile passare la giornata col culo sul crash a provare la partenza di un blocco, anche se non chiudo niente e torno a casa tutto ammaccato, ma felice. Perché se questa cosa inutile mi rende felice, allora la risposta è tutta qui.

La bellezza del senso dell'inutilità risiede nel suo potere di trasformare la vita di tutti i giorni in qualcosa di straordinario, perché è proprio in quei momenti di apparente mancanza di scopo, che abbracciamo la roccia senza altra ragione che per il puro piacere di farlo. 

E intanto prendo pali.

Post pubblicato in "Preferisco Ghisarmi", la newsletter #23: sull'utilità dell'arrampicata.

Nessun commento:

Posta un commento