venerdì 3 marzo 2023

Zime de i Scalet, greppismo al suo top

Una ravanata di Enrico & Pippo.

Per i miei 48 anni decido di regalarmi una giornata di ferie per una ravanatina in zona prealpi. Consultiamo la solita guida Wild Dolomiti optando per una passeggiata che offra un dislivello non eccessivo, intorno ai 1200 metri max, visto che siamo un pelo fuori forma. Le Zime de i Scalet, all'ombra del Serva, sembrano fare al caso nostro, per cui partiamo da Venezia in modalità no stress e parcheggiamo nel ridente abitato di Polpet, Ponte nelle Alpi (BL). La corda oggi resta in bagagliaio.

In alto, le austere Zime dei Scalet.

Era parecchio tempo che volevo salire alla chiesetta di San Andrea (Polpet 394m – Chies 741m) e devo dire che il sentiero prende a rampare fin da subito. Bellissimo l'affaccio sulla vallata, purtoppo tristemente punteggiata dai capannoni, se pur utili all'economia della zona.

Dopo una breve pausa imbocchiamo il sentiero retrostante, dove presto si comincia ad affondare (letteralmente) nel fogliame secco, caduto abbondante a terra durante l'inverno. La guida spiega che poco prima del valico che conduce ai Prà d'Anties, di cui non conosciamo ahimè la quota, si stacca a destra una traccia, netta, ma non segnalata. A quel punto la traccia dovrebbe condurre ad alcuni grandi antri rocciosi e di lì ad una caratteristica cengia, solo poco esposta.

Spazientiti, dopo aver camminato per un bel po' decidiamo che la successiva deviazione è quella giusta. La traccia effetivamente taglia il pendio in leggera discesa, fino a perdersi sotto alcuni grossi faggi caduti. Superati gli stessi, proseguiamo su terreno incerto. Ora le tracce, probabilmente di animali, sono molteplici e il pendio cosparso di lunghi ciuffi d'erba si fa esposto. Decidiamo di risalire fino a raggiungere una specie di pulpito erboso che si stacca isolato nell'aspra vallata. Basta poco per renderci conto di essere finiti almeno duecento metri sotto il percorso indicato nella guida. Prendiamo quindi a salire dritto-per-dritto lungo una sorta di cresta boschiva gradonata, fino a raggiungere col cuore in gola le paretine soprastanti e trovarci (urrà) sulla giusta via. Passiamo sotto gli antri, percorriamo la sopradetta cengia costeggiando il grande anfiteatro, finchè il nostro sentiero incrocia un rigagnolo d'acqua che scende da un impervio e ripido canalone. La guida dice: superare il torrente e risalire il canalone senza via obbligatoria. D'accordo, ma superarlo di quanto... 10, 20, 50 metri??? Il sentiero prosegue in costa verso Col Mussac, e così, a casaccio, cominciamo a rimontare dei verdi sempre più ripidi, seguitando per un impluvio di loppe quasi verticali.

Decidiamo di abbandonare le loppe e uscire a sinistra, nella speranza di trovare un modo più facile per salire il canalone. Riusciamo così, con qualche peripezia, a scendere sul fondo del ruscello per poi prendere a salire più comodamente tra massi, arbusti rinsecchiti e chiazze di neve marcia. Il canale sembra ora farsi più ampio e praticabile, ma la fatica e l'incertezza sulla nostra destinazione cominciano ad esercitare in noi una certa pressione psicologica. Scartiamo una prima diramazione che non sembra portare a nulla di buono, per proseguire invece fino al fondo del ramo principale. Da qui l'unica possibile via di salita si trova alla nostra destra. Dopo aver dato un paio di morsi ai nostri panini, saliamo ora per ghiaie in un ambiente più familiare, fino a raggiungere in una ventina di minuti quella che senza dubbio alcuno è Forcella de l'Ortiga. Sono le due del pomeriggio, il cielo è velato e il morale non è al top. Possiamo decidere di fermarci qui, è stata una bella avventura e le ore di sole non sono dalla nostra...

Ma il solito imperativo morale ci ordina di proseguire: andiamo a vedere dove sarebbe questa cima. Per raggiungere la cima dobbiamo ridiscendere l'altro lato della forcella di circa 50 metri, per poi imboccare una breve cengia in salita verso destra (faccia a valle). Ma di certo qui non c'è davvero nulla, nè un ometto, nè un qualsiasi indizio. Decidiamo di indossare i ramponcini forestali, perchè la neve è sfatta, ma comunque presente. Facciamo qualche tentativo maldestro, fino ad individuare una scarpata ricoperta da ghiaino che superiamo faticosamente con l'aiuto dei mughi. Sconforto anche qui. Ma c'è una buona notizia, sul culmine alcune tracce di camosci sembrano invitarci a proseguire a sinistra (questa volta faccia a monte), sul filo della cresta, in direzione di un ampio promontorio erboso. Oltre il promontorio una cima rocciosa, il nostro traguardo? In due e due quattro, decidiamo di seguire questo esile filo di Arianna, che ci porta prima ad una macchia fitta di mughi superata la quale ci ritroviamo alla base della piccola rocca, evidentemente una delle Zime dei Scalet. Prendiamo a scalare su rocce marce (II° grado?) per una decina di metri scarsi, fino a raggiungerne la sommità, dove rinveniamo con sorpresa un grosso ometto. Meta.

Nemmeno il tempo di guardarci intorno e prende il sopravvento la preoccupazione della discesa, che si prospetta difficile. Soprattutto la preoccupazione di ritrovarci al buio, almeno non prima di aver raggiunto il sentiero che scende dalla chiesetta di Sant'Andrea. Torniamo sui nostri passi, con un po' d'affanno, scendiamo l'infida scarpata, torniamo alla forcella e ci viene un'idea balzana. Puntare ad una forcella sul lato opposto, da dove, stando alle mappe, una traccia dovrebbe riportarci verso casa, evitandoci così di scendere per il difficile canalone dell'andata. Ci separiamo, io resto alto in costa seguendo tracce, Pippo ridiscende il ghiaione e risale l'altro versante. Ma inizia a nevicare. Ci ricongiungiamo nella forcella sconosciuta da cui effettivamente appare possibile scendere, ma verso dove? Tutto ci fa supporre che il sentiero ci porti lontano, forse verso Belluno. Le troppe incertezze, le condizioni ambientali e il pepe al culo ci fanno ripiegare a malincuore per la via di salita.

Tralasciamo i dettagli di una breve e inutile digressione per mughi verticali (scorciatoia, dice Pippo) e ci ritroviamo con le ali ai piedi a trotterellare giù per l'aspro canalone, aiutati dalle nostre impronte sulla neve e, sul tratto terminale, letteralmente disarrampicando i salti d'acqua, fino a raggiungere il sentiero. Da quel punto in poi è solo un lungo e faticoso rientro alla macchina. Siamo così stanchi che alla chiesetta ci buttiamo a terra. Da lì in poi buio, se non fosse per una meravigliosa luna che rischiara i nostri passi. Neanche a dirlo e siamo seduti al bancone del Bivio a ingollare skiwasser a ettolitri.

Bilancio della giornata: un'escursione faticosa (altro che 1140 mt di dislivello), improbabile e persino pericolosa. Dove perdersi è il suo bello, ma anche no... Assolutamente da non ripetersi in stagione calda, saremmo tornati ricoperti di zecche, ma ci è andata bene questa volta. Una gita che richiede fermezza d'animo, passo sicuro su terreno impervio e tanta, ma tanta voglia di ravanare...

Che dire? buon compleanno a me! :)

Vista sulla Valle, il Dolada sul lato opposto.

Inizio della scarpinata e dubbi esistenziali.

Sant'Andrea.

Le case dei bambini.

Cresta erbosa.

Sotto gli antri.

Sotto gli antri (parte 2).

La cengia.

Passaggi in costa.

L'impluvio di loppe.

Le ripide erbe da risalire.

Scrutando verso l'alto. 

La diramazione di destra del canalone.

Risalendo le ghiaie verso forcella de l'Ortiga.

Zima.

La forcella sconosciuta, sul lato opposto.

lunedì 28 novembre 2022

Sassismo nel Fadalto che non ti aspetti

Una boulderata di Enrico & Franz.

L'autunno ha già spogliato gli alberi in valle, ma il clima è decisamente mite a fine ottobre sulla sella del Fadalto, sopra Vittorio Veneto in provincia di Treviso, dove il sole scalda l'aria e si può stare ancora in maglietta. 

Ci fermiamo per una imprescindibile sosta al Bar B&B Sella, dove approfittiamo di un caffè per chiedere informazioni in giro. Quasi dissimulando le nostre reali intenzioni, poniamo al bell'uomo dietro al bancone e agli annoiati avventori locali qualche domanda, del tipo: come si fa ad arrivare alla frana che scende dal Millifret? Ci sono dei grossi sassi in zona? Per sentirci rispondere: ma a voi cosa interessa dei nostri sassi?

Qualche indicazione puntuale ci viene comunque elargita, dobbiamo scendere nuovamente la SS 51, sul lato del passo che guarda la Val Lapisina, fino ad un tornate pronunciato dove si stacca una strada carrabile (Via delle Var Calde) che, sterrata, porta sopra il piccolo abitato. Grazie, da là in poi vedremo che fare.

Non abbiamo molti riferimenti a parte qualche foto del profilo Instagram del solito Virgi, come sempre un passo avanti nel scoprire blocchi scalabili dove meno te l'aspetti. Il nostro ci aveva infatti parlato di alcuni massi da salire con vista sul Lago Morto. Vista la vicinanza della location da Venezia, abbiamo quindi deciso di seguire - come sempre del resto - le sue orme.

La vecchia Tucson se la cava benone nel risalire la strada che si fa ripida, ma comoda e che ad un tratto volge decisamente a destra. Ci guardiamo in giro attraverso i finestrini dell'auto, mentre il percorso si snoda tra rocce di modeste dimensioni, per cercare di indovinare dove potrebbero essere i blocchi. Parcheggiamo infine su uno slargo a sinistra, puntando con lo sguardo a un masso più in alto, a tutta dritta, che si staglia netto a guisa di piramide.

Con i crash sulle spalle, saliamo un ripido costone fuori traccia fino a trovarci in qualche minuto a portata dell'obiettivo. Ci fermiamo a rimirare la paretina della piramide, alta e avara di appigli. Ma decidiamo comunque di fare un tentativo, ci infiliamo le scarpette e saliamo il bordo a destra, scattando qualche foto che rende l'idea del calcare compatto e grigio.

Dopo qualche tentativo maldestro sul lato principale, decidiamo di guardarci intorno per capire dove siano gli altri blocchi. Ma ravaniamo in tondo, su e giù per il pendio senza trovare altro. Un po' demoralizzati decidiamo di chiamare il maestro che risponde prontamente con voce entusiasta. Gli altri massi, pochi eh..., sono dietro la piramide, alla base della sopra detta frana. Aiutati dalle numerose foto che ci invia il Virgi via Whatzapp, troviamo infine gli agognati blocchi. Urrà! Il Virgi aggiunge: attenti ai mufloni, che scorrazzano liberi in zona. Saranno pericolosi???

Ne troviamo finalmente uno "da scaldo". Cominciamo a giocare inventandoci una linea che parte da una sit abbastanza fisica e che si sviluppa su un diedrino strapiombante per poi finire in placca. Poi esploriamo altri massi in zona, di modesta altezza, finché incappiamo in un grosso masso tondeggiante su cui troviamo segni di smagnesate e una bella piazzola dove distendere i crash. Proviamo una partenza molto dura, che lessa subito le braccia. Bello però!

Saliamo il ghiaione in diagonale, da sinistra a destra, e infine arriviamo al masso delle foto del Virgi, con almeno due linee molto fisiche. Le foto da wannabe rendono l'idea della durezza del blocco in questione. "Bastoni" anche qui, ma la giornata è bellissima e siamo gasati all'idea di poter avere dei boulder da provare a portata, si fa per dire, di mano. Noi gente di acqua dolce, che invece di andare a remi guarda ossessivamente alla montagna.

Al rientro ci perdiamo per un sentiero alternativo, in mezzo a rocce affilate e cespugli spinosi, per poi tornare alla macchina un po' strappati. Zecche e mufloni non pervenuti, per fortuna, ma consigliamo di usare prodotti spray specifici.

Bilancio della giornata. Sul Fadalto ci sono dei blocchi scalabili, ma quelli belli sono molto duri. Il luogo è incantevole, alcuni non ci crederanno, e da lì è possibile imboccare sentieri poco battuti che portano sopra la piana del Cansiglio. Torneremo in primavera.

Seguono foto in ordine sparso.


















lunedì 19 settembre 2022

Volpera Brush Climbing 2022... E noi non potevamo mancare

Resoconto di Enrico & Franz.
 
Anche quest’anno a Cortina si è tenuto il Volpera Brush Climbing, organizzato dal Gruppo Scoiattoli domenica 18 settembre nei boschi tra Campo Volpera e Mortisa. E noi non potevamo mancare.

Tanti nuovi blocchi con bella roccia e molte linee ingaggianti, scoperti nella zona a valle del punto panoramico lungo la SR 48 che porta a Pocol (a sn, prima della galleria). Ma la principale novità è stata la possibilità di scalare anche su monotiri nuovi di zecca tracciati sui massi più alti e strapiombanti.

Ci diamo appuntamento con Daniel e Alice alle ore 09:00 presso la palestra Lino Lacedelli per l’iscrizione e la consegna della bellissima maglietta dell’edizione 2022 e in breve tutti con i materassi sulle spalle giù a pedalare per il ripido sentiero e poi a destra per traccia, attraverso le radure boscose ai piedi della frana che scende dalla strada regionale sopra detta.

Il bosco in quella zona è più pianeggiante e soleggiato, soprattutto nel versante che si affaccia verso la Croda da Lago, con la possibilità quindi di scalare anche durante le stagioni più fredde. Ed è là che il nutrito gruppo, infoltito quest’anno da molti nuovi amici di pianura, è stato condotto dal Virgi, armato di bastone cornuto come un novello Gandalf del sassismo, che ha spazzolato questi blocchi per poi condividerli con noi.

I massi sono mediamente duri, ma davvero molti per cui è stato impossibile provarli tutti. Insomma c’è da tornare per tentare l’intentato e per portare a casa qualche linea che chiaramente necessita di essere lavorata con calma.

Dopo esserci spellati le mani (e il morale) su placchette e strapiombini per tutta la mattina, nel pomeriggio ci siamo trasferiti in zona grigliata, quella dell’anno scorso, sulla strada forestale verso Mortisa. Tra birre e panetti come di rito, dopo il benvenuto del presidente degli Scoiattoli (che forte), si è tenuta l’estrazione dei premi offerti dai generosi sponsor.

Che dire, anche quest’anno è stato super, con la sensazione di sentirsi a casa, tra amici, tanto da non voler più tornare a valle. Il nostro cuore resta impigliato tra i boschi. Grazie Scoiattoli!!!

Segue il racconto fotografico della giornata. 

















Qui invece le foto pubblicate sul gruppo Scoiattoli di Facebook.

giovedì 25 agosto 2022

Cima Loschiesuoi, Gruppo del Cernera

Una ravanata di Enrico e Dario.

Era veramente tanto, ma tanto tempo che desideravo salire la cima del Loschiesuoi per cresta nord, una ravanata gustosa per veri intenditori del vegeto-minerale. La nostra fa parte del gruppo del Cernera e si caratterizza per apparire sul versante nord verso Passo Giau, come un grande dorso di mulo, che si impenna appena verso la parte terminale. La guida del Berti riporta le seguenti informazioni: la via è stata aperta da V. Penzo e G. Creazza nel 1952, dislivello 380 metri, con difficoltà di II° grado.

Vista della cima da forcella di Zonia

E' il 25 agosto 2022, una giornata per la verità nuvolosa, su cui non è possibile fare grande affidamento. Lasciamo l'auto qualche tornate al di sotto del valico e prendiamo a salire i prati del Col Piombin, con l'idea di guadagnare una vista di insieme della nostra montagna, che ci possa suggerire il giusto approccio ad una via che sicuramente non è stata ripetuta di recente. Dalla giusta distanza il versante a destra appare solcato da diversi canalini, ma come individuare quello giusto? La guida dice di evitare la "gobba iniziale" e tratteggia una linea che sale in obliquo il declivio. Ma l'illustrazione del Berti, per quanto suggestiva, non è di facile interpretazione e in rete non si trova assolutamente nulla.

Forcella Col Piombin

A forcella Col Piombin a quota 2239 (vedi foto) prendiamo il sentiero che porta alla Cima del Cernera per abbandonarlo poco dopo in favore di una zona di magro pascolo che si fa subito abbastanza "culosa". Traversiamo le ghiaie verso sinistra portandoci sotto parete, dove i dubbi si fanno sempre più insistenti. La parete sembra praticabile qui e lì, ma richiederebbe forse l'ausilio della corda, che invece abbiamo lasciato a casa, convinti di poterci muovere liberamente su difficoltà di II°. Così puntiamo ad un canalino poco più avanti che sembra corrispondere a meraviglia alla descrizione della relazione. Ma non ci sono ometti, né segni di passaggio alcuno a confortare la decisione, per cui ci muoviamo nell'ambito della pura ipotesi.

Il breve pendio erboso da cui attacca il canalino

Vista del canalino dalla sua base

Traversiamo un breve pendio erboso per raggiungere la base del canalino, che da lì appare praticabile. E qui inizia quell'esercizio di forzatura della realtà a quanto abbiamo letto in guida, per convincerci a tutti i costi che quella che stiamo per salire è LA VIA GIUSTA.

Scalo i primi metri su gradoni di buona roccia che però non offrono appoggi troppo generosi, almeno con le scarpe da avvicinamento. Dario mi raggiunge con qualche mugugno, così mi invento un'uscita a sinistra (faccia a monte) un po' più facile, ma esposta e friabile. Saliamo con cautela le ghiaie mobili puntando ad un terrazzo verde da cui ci preoccuperemo poi di capire come proseguire. Da lì il filo di cresta risulta già visibile, ci separano una serie di rampe erbose e gradini di roccia che non siamo in grado di valutare con certezza. Saliamo a sinistra tra i fiori di Aconito per arrivare ad un restringimento con una caratteristica finestrella di roccia passante incassata tra due paretine. Si naviga a vista e il tempo sembra peggiorare. Mi infilo in avanscoperta nel foro, per spuntare fuori rimontando su di una cengia dalla quale invito Dario a raggiungermi.

Vista del canalino iniziale dall'alto

Uscita su ghiaie ripide

Il terrazzo erboso fuori dal canalino

Il pericoloso Aconito napello (occhio a non toccarlo nemmeno con le mani)

Dario si infila nel foro tra le due paretine

Dario suggerisce di proseguire su diritti, con passaggio delicato a destra con le mani aggrappate alle loppe, e l'intuizione si rivela corretta. Di lì a poco raggiungiamo la dorsale erbosa del Loschiesuoi, con vista magnifica intorno. Risaliamo ora la cresta che presenta un restringimento esposto (attenzione, qui si scivola una vola sola...), per poi allargarsi senza presentare altri problemi. Si guadagna quota camminando serenamente, fino a quando la cresta diviene rocciosa. Più sotto, a sinistra faccia a monte, sarebbe possibile intercettare la via normale. Noi invece continuiamo ostinatamente sul filo di cresta, con "facile e divertente arrampicata fino in vetta", come prometteva il Berti.

Vista su forcella Loschiesuoi, a sinistra la Torre Dusso

Il restringimento in cresta (non sembra ma è esposto)

Dario sale per loppe

Si cammina in cresta

Dopo aver lasciato le nostre firme sul libro di vetta, visto che il tempo non promette bene, decidiamo di riparare non per via normale, ma per forcella Possoliva. Mai scelta fu più nefasta. Scendere alla forcella non è un problema (I°), ma il percorso non è segnato - manco un ometto a pagarlo oro -, per cui non ci resta che calarci per l'orribile canalone franoso, mentre già comincia a piovere. Stanchi e scoraggiati da questa prova, riusciamo ad individuare una traccia su pulpito erboso sottostante, alla quale puntiamo traversando in costa su rocce marce. Una volta raggiuntala il più è fatto, camminiamo ora su prati bagnati per balze erbose, costeggiando le pareti rocciose del Loschiesuoi fino a ritrovare il punto di partenza.

Il tratto finale, leggermente esposto a destra

Ultimi passi

Croce di vetta

Quando torniamo al canalino iniziale siamo quasi certi di esserci inventati una salita alternativa rispetto alla via originale che ci eravamo proposti di ripetere. Se avete intenzione di seguire questa relazione sappiate che non abbiamo lasciato alcuna traccia, sta a voi... e occhio ai fiori viola!!