lunedì 8 agosto 2022

Corno d'angolo, val Popena

Una ravanativa di Enrico, Pippo, Dario.

Dopo aver sofferto a lungo il caldo, finalmente promette di piovere e proprio per questo progettiamo una gita di mezza giornata, giusto per non rischiare di trovarci a schivar saette...


La Val Popena ci sembra un'ottima meta per una giornata che si rappresenta ombreggiata fin dal mattino. Partenza da malga Misurina per il sentiero numerato 224b, dove giungiamo presto al bivio per i ruderi del rifugio Popena. 

Proseguiamo lungo il 222 per lasciarlo in favore di una traccia che risale il ghiaione, fino a toccare le pareti di roccia per una breve e gratuita digressione: la parete è solcata a un paio di metri appena da una cengia che ricorda il celeberrimo troi del Panza (Rifugio Settimo Alpini). Il passaggio è obbligatorio e una volta vinto quello che da ora in poi sarà denominato "troi del Pippo", scavalliamo un breve forcellino per risalire le infide ghiaie mobili (qui evitiamo di proposito il sentiero) che scendono dalla sella che ospita il diroccato rifugio.


Una volta sopravvissuti a questa ulteriore inutile prova di equilibrismo, scavallata l'ampia forcella proseguiamo a sinistra in direzione dello spigoloso profilo del Corno d'angolo. Il tempo sta via via peggiorando per cui decidiamo di accelerare il passo, onde rischiare di perdere l'opportunità di toccare la vetta. 

La Val Popena alta è deserta e affascinante mentre nuvole nere di addensano minacciosamente sopra le nostre teste. Una volta superata la caratteristica guglia su forcellino dove lo sguardo precipita nella sottostante valle, si prosegue per traccia che taglia longitudinalmente il ghiaione di massi alla base del Corno d'angolo in direzione della più alta forcella che lo separa dalla Pausa Marza (un nome, un programma...). 

Rimontiamo con passo deciso le ghiaie a sinistra, tenendoci al riparo di modesti pulpiti rocciosi, anche se il percorso non appare obbligato. Si risale un gradino di sfasciumi (I°) sulla destra e da lì si prospettano due possibilità: tagliare in costa a sinistra oppure risalire ulteriormente e portarsi in cresta (forte esposizione). Di lì a breve si raggiunge l'esile vetta costituita da grossi massi rotti, poggiati l'uno sull'altro (15 minuti dalla forcella).

Vista entusiasmante sul temporale che sembra accanirsi sul Sorapis, giusto il tempo per un paio di foto e decidiamo di ripiegare velocemente a valle. Scendiamo che già sta piovendo per trovare riparo alle spalle delle mura superstiti del vecchio rifugio, dove pranziamo al sacco. Per il ritorno decidiamo di comune accordo di percorre il sentiero in direzione 224 verso la forcella della Pala di Misurina, in modo da ritornare al punto di partenza per percorso alternativo. Traversiamo alti, sotto le incombenti pareti delle Pale, per variante ben segnata con bolli color carminio, fino a tagliare deliberatamente per canalini di sfasciumi in direzione della cresta.

Purtroppo la Pala di Misurina è completamente oscurata dalle nuvole per cui non ci resta che scendere a valle, proseguendo per il sentiero fino alla malga, dove ci attendono deliziose fette di torta e effervescenti skiwasser.

Note: si tratta di una cima nel complesso facile, salvo prestare attenzione al tratto finale che richiede quel minimo di capacità di cavarsela su terreno franoso. Attenzione all'esposizione sulla cresta che porta alla vetta.

venerdì 22 luglio 2022

Salita al Piz del Corvo, andar per loppe

Una passeggiata di Enrico e Rachele.

E' il 22 luglio 2022 e siamo in ferie già da qualche giorno. l'estate è torrida e non abbiamo molta voglia di faticare sotto la caldana. Così esce fuori la proposta di fare una sgambata in zona Mondeval e di lì, per via normale, alla cima del Piz del Corvo, promontorio erboso sul lato nord, che segue il profilo orografico del Monte Mondeval, già salito più volte durante gli inverni.

Il versante meridionale invece appare più severo, roccioso ancorché adornato di alberi soprattutto sulle cenge più ampie e i cui verdi terminali, tra una cuspide e l'altra, si impennano in modo vertiginoso. Si tratta di una cima d'infanzia, dal momento che per lunghi anni la mia famiglia, quando ero bambino, affittava per l'estate un appartamento a Santa Fosca. Un vicino di appartamento, un brav'uomo di cui non ho mai saputo il nome di battesimo, ma che mio padre soprannominava "il bolognese", era solito salire la cima del Corvo all'alba, per poi rincasare da moglie e figlio per l'ora di pranzo. Chissà perché non ho mai salito il Piz del Corvo fino ad oggi.

Per farci un po' di sconto sul dislivello, parcheggiamo l'auto in una piazzola sotto il Passo, lato Cortina e siamo presto sul sentiero che conduce verso il Col Piombin. Scavallata la forcelletta scendiamo costeggiando le pendici della Chiesuola, su cui metto gli occhi per una possibile salita, e superata la Torre Dusso siamo a salire le ghiaie che scendono da Forcella Giau.

Percorriamo in discesa il sentiero 465, che traversa ampi prati in direzione Val Fiorentina, fino a giungere ad un bivio in località Pont de Sass (quota 2103 mt), dove troviamo un cartello con indicazioni per la cima. Risaliamo brevemente la traccia, che costeggia un grande foro passante, e rimontiamo in direzione Darè Spiza Còrf.


Il paesaggio è decisamente rilassante, dove l'unica preoccupazione è quella di evitare i fiori di Aconito, che cresce ovunque in zona. Mano mano che ci avviciniamo all'attacco vero e proprio l'erba si fa sempre più alta e la traccia tende a perdersi. 

Ma non c'è da preoccuparsi, una volta individuata la freccia che indica la cima si prende a salire senza percorso obbligato il ripido pendio (molto ripido). Dal momento che non si riesce a scorgere dal basso la croce di vetta consigliamo di puntare ad un pietra grigia, messa appositamente a mo' di menhir: la cima si trova esattamente sopra.  

Quanto sono belle le cime minori e quanto spazia lo sguardo tutt'intorno.





martedì 19 luglio 2022

Rocchetta di Campolongo, ovvero la lunga estate caldissima

Una ravanata di Enrico & Angela.

Giornata caldissima il 19 luglio 2022. Il sole dardeggia nel cielo estivo, irradiando di incolmabile bellezza le Rocchette che si fanno ammirare dal terrazzo di casa, a Resinego, frazione di San Vito di Cadore. Lasciamo l'auto a Geralba (fraz. Chiapuzza), superiamo il Boite e al primo crocevia imbocchiamo la forestale numerata 457, direzione Rifugio Palmieri. 

Chi ha già percorso questo itinerario sa che si tratta di un vero e proprio sentiero "da preti". Le rampate si succedono una dietro l'altra senza sosta e, nonostante camminiamo immersi nella macchia, il sole è cocente. Ben presto ci ritroviamo sudati e ansimanti, con in testa una sola domanda: basterà l'acqua della borraccia? A quota 1580, località Piàn de ra Bàita, la strada, che finalmente sembra spianare, si trasforma in sentiero costeggiato da alte erbe apparentemente poco frequentato. Proseguiamo ora in quota sempre lungo il 457, con modesti su e giù, attraversando un tratto roccioso poco esposto sotto il Beco Longo, nella totale solitudine.

Dopo aver camminando lungamente giungiamo ad un nuovo trivio che incrocia l'itinerario n. 427, con la possibilità di scendere ad Aquabona. Noi  proseguiamo sul 457 che prende di nuovo a salire su terreno non sempre agevole. D'un tratto, attraverso uno slargo sulla sinistra, intravediamo finalmente la cima della Rocchetta, che ci appare remota e solitaria. Dopo aver traversato un ruscello e ampi prati bagnati, il sentiero svolta ora verso sinistra permettendo di guadagnare quota sul versante nord del modesto rilievo che ci separa dal Rifugio Croda da Lago, verso forcella Sonforcia.

Dove il sentiero curva repentinamente a destra (segnavia su masso), la traccia che si stacca a sinistra conduce all'ampia zona umida, località Palùo, dove ha inizio la via normale vera e propria.

Seguire la visibile traccia che traversa il paludo, oltrepassare il fondo di un ruscello in parte asciutto e salire uno dei sentieri che solcano il pendio opposto, preferendo tenersi a monte piuttosto che a valle. La traccia è segnata da alcuni ometti, ma è facile perderla di vista tra dossi e avvallamenti popolati abeti, mughi e fitte macchie di ginepro. Il consiglio è di stare al centro di quello che diventerà poco a poco un dorso di mulo, puntando a spanne alla meta, in alto. 

Una volta fuori, il terreno si fa poco più pendente, a incontrare le fiumane di ghiaia che scendono dalle varie forcelle soprastanti. La presenza di ometti rende comunque il percorso abbastanza intuitivo, anche se un minimo di orientamento si rende necessario. Il sentiero traversa ora da sinistra a destra l'ampio anfiteatro di magro pascolo, tra la cima vera e propria e un cima minore, che rimane sulla destra, fino a raggiungere la base del canale che si impenna verticale verso il lato opposto.

Sempre seguendo alcune tracce più o meno marcate, saliamo faticosamente il pendio puntando ad un grosso roccione (bollo scolorito) che divide in due la parte terminale del canale, ora davvero ripido (sconsigliato in condizioni piovose). Alle loppe si alternano ghiaie talora infide, se percorse in verticale. Consigliamo di non perdere di vista la traccia che costeggia sulla sinistra (faccia a monte) e che renderebbe la salita più agile. 

Al termine del canale, giunti sotto le rocce seguitare verso destra senza cedere alla tentazione di seguire alcune cenge che dipartono a sinistra, probabilmente segnate dai passaggi dei numerosi camosci. E infatti ne sentiamo fischiare alcuni in lontananza, messi in fuga dalla nostra aliena presenza. A questo punto il sentiero, sempre segnato da ometti, rimonta la parte finale della Rocchetta da destra verso sinistra, per cresta un po' esposta, fino alla croce di vetta.

La stanchezza si fa sentire nel momento esatto in cui smetti di salire, non è forse questa la più logica definizione di "cima"? La vista su San Vito è memorabile e salutiamo idealmente chi ci guarda da casa. Il sole è a picco e non vediamo l'ora di tornare ad infilarci nell'ombra degli abeti, ma la discesa si prospetta impegnativa per ginocchia e caviglie. Così scendiamo con prudenza e quando torniamo al Palùo siamo belli cucinati. La buona notizia è che riforniamo le borracce d'acqua buona e fresca al torrente, che dopo un tratto asciutto torna a sgorgare direttamente dalle rocce, garantendo la potabilità dell'acqua. Ci prendiamo una pausa distesi all'ombra, poi torniamo sui nostri passi, riuscendo perfino a perdere il sentiero a ritroso, ma a ritrovarci fortunatamente all'incrocio con la lunga forestale n. 427, che ci deposita in località Socòl. Da lì camminiamo comodamente fino a Geralba.

Con partenza da San Vito l'escursione è abbastanza impegnativa, con oltre 1600 metri di dislivello  positivo totale e circa 25 km sulle gambe. Senza considerare le condizioni meteo: torniamo entrambi con una bella insolazione, ma felici di #ravanaresempre...

Segue racconto fotografico.

Quota Piàn de ra Bàita.

La Rocchetta di Campolongo, vista dal lato della via normale.

Il Palùo verso le Rocchette.

Traversando il Palùo.

Fuori dal rado boschetto (la nostra cima è quella a sx).

Risalendo il ripido canale erboso.

Le infide ghiaie terminali del canale.

Sulle laste.

Angela sulla cresta finale, vista dalla croce di vetta.

sabato 20 novembre 2021

Salita allo Spiz Gallina, il piccolo Cervino delle Dolomiti

Una ravanata di Enrico & Pippo.

Quello che segue è il racconto della salita allo Spiz Gallina, una cima che non necessita di presentazioni per chi frequenta le Prealpi Venete oltre la Piave. Sfido chiunque anche solo di passaggio a non aver mai dato un’occhiata, se pur distratta, a questa cima minore, che nel suo piccolo sembra dominare la valle sottostante. Qualcuno lo chiama il piccolo Cervino delle Dolomiti, a fare da contraltare al Cimon della Pala. Certo chi lo ha ribattezzato così deve avere uno spiccato senso dello humor, ma quest’appellativo tutto sommato ci è piaciuto fino ad adottarlo.


Esistono diverse relazioni in giro per l’internet, ma a quanto pare, confrontandole, nessuna descrive lo stesso percorso. Questo principalmente per due ragioni molto ovvie: la prima è che la via non è segnata, salvo qualche raro ometto, la seconda è che, evidentemente, non esiste una sola via normale.

Questa dunque è la nostra relazione, sperando di dare indicazioni utili non tanto ad individuare il cammino più facile, quanto ad evitare di perdere il sottile filo di Arianna che conduce alla "agognata" vetta.

Il 20 novembre 2021, ci diamo appuntamento alla macchina sul presto con destinazione Val Gallina, che già conoscevamo per averla sbirciata dalla bella ciclabile che da Soverzene conduce a Longarone, sul versante sinistro del fiume caro alla patria. Il tempo è buono e la stagione inoltrata sembra propizia alla salita. Usciamo dall'autostrada ed eccolo lì, lo Spiz, con le pendici boscose ancora nell’ombra e il sole che illumina la pala alta.

Parcheggiamo l’auto sul piazzale a destra della diga, ci cambiamo e prepariamo gli zaini spartendoci l’attrezzatura alpinistica, raccomandata per affrontare quantomeno i passaggi più delicati. Fa molto freddo e ci copriamo con tutto quello che abbiamo al seguito. Attraversata la diga e giunti sull’altro versante del bacino artificiale, il sole fa capolino da dietro il Col Nudo per illuminare il versante di salita. Imbocchiamo il sentiero che si stacca a sinistra (faccia a monte), poco prima di un canalino secco che termina sulla sponda del lago.



Dopo aver guadagnato circa un centinaio di metri, lasciamo il sentiero che volge a sinistra per prendere una netta traccia orizzontale a destra (freccia incisa su corteccia di albero, vedi foto) e che sembra  poter condurre alla forcella. Il sentiero, non numerato, ma segnalato da sporadiche frecce rosse, si fa presto ripido, serpentinando di qua e di là del colatoio secco di cui si accennava poc’anzi. L’alto strato di foglie cadute dagli alberi non rende facile la progressione, complice il fatto che è da un po’ che siamo fermi con le gambe. Prendiamo quota ognuno col suo passo e, dopo aver costeggiato le pareti che scendono dagli avancorpi del Toc, giungiamo in forcella (1.10 circa dalla macchina).




Troviamo una bella fontana con acqua corrente e sostiamo sulla panchina adiacente. Il Casot è tenuto davvero bene, c’è persino un piano cottura con bombola a gas e luce elettrica alimentata da un piccolo pannello fotovoltaico. Chapeu ai bravi manutentori della sezione del CAI di Conegliano.



Consultiamo il PDF della guida salvato nel telefono e prendiamo l'evidente sentiero che dal Casot taglia il bosco a sinistra. Procediamo aggirando la base dello Spiz in senso orario. Dopo poco riveniamo un sottile cavo metallico teso fra gli alberi, ad agevolare il passaggio su un paio di tratti poco esposti, di cui si fa menzione nella relazione di salita. Il sentiero volta repentinamente a destra rimontando una specie di cresta boscosa, che si percorre tutta senza possibilità di errore, fino a una parete gradonata. Da qui, un breve passaggio attrezzato con del fil di ferro permette di raggiungere lo stretto forcellino incassato tra la paretina di roccia e un pulpito ornato di loppe rinsecchite. Siamo all’attacco della via.




Indossiamo i caschetti e ci leghiamo in cordata per superare il passaggio attrezzato da una vecchia catena, gradato III°, piazzando qualche cordino intorno ai primi mughi. Dopo questo primo passaggio di roccia e terra, il sentierino prosegue dritto per una nuova cresta erbosa un po' esposta, a sinistra della quale si apre un nuovo versante boscoso piuttosto ripido. Si raggiunge così una nuova parete a destra della quale (faccia a monte) si apre il canalone principale che scende dalla vetta. E fin qui tutto chiaro.



La relazione scaricata da internet recita che sulla parete dovremmo incappare in un paio di spit con cordino. Noi però non troviamo nulla, per cui, indecisi sul da farsi, proviamo ad attaccare il suddetto canalone proteggendoci dove possibile. Gli alberelli sono piuttosto esili e malandati per cui - non senza qualche improperio – torniamo sui nostri passi e proviamo ad esplorare il declivio ulteriormente a destra. Qui ci sembra di scorgere una qualche traccia nelle foglie secche, sempre abbondanti, intuizione che viene confermata dal rinvenimento di un grosso ometto. Urrà! Certo, l’ometto c’è, ma non se ne capisce l’intenzione.

Superato lo stesso, proseguiamo ancora a destra attraverso gli alberi fino ad individuare un ulteriore canale erboso che risale verticalmente. Proseguiamo quindi a zig-zag, mettendo qualche cordino attorno a dei grossi abeti sul limitare dei versanti opposti, fino ad arrivare ad un gradino erboso che richiede di essere superato su loppe esposte e senza appigli per le mani, se non terra e rocce malsicure. Superato lo stesso – con una certa apprensione –, risaliamo la ripida erta finale aggrappandoci letteralmente ai ciuffi d’erba fino a raggiungere la base di un roccione, leggermente aggettante. A questo punto ci è chiaro che questa non è la via di salita più facile, per cui discutiamo un po’ tra noi sul da farsi, valutando anche di calarci in doppia e rinunciare.


 
Decisamente scoraggiati, facciamo un ultimo tentativo risalendo una specie di cengia a sinistra del roccione di sosta, fino a raggiungere un più largo canale dove individuiamo... degli ometti! Con fiducia ritrovata, proseguiamo ora in quota dove la traccia si fa obbligata, prima con una curva netta a destra tra due grosse rocce, poi con un passaggio tra i mughi, quindi per un gradino di roccette dove guadagnamo l’esposto traverso finale, di cui avevamo letto in guida.



La cima è ampia anche se accidentata, disseminata di mughi e rocce. Lo sguardo spazia dalla pianura avvolta dalla nebbia fino all’Antelao. Sembra di poter toccare Pelmo e Rocchette con le mani, ma la vista sul vicino col Nudo e, dall’altro lato, sul Pelf non è da meno. Ce ne stiamo a goderci del bel sole che scalda il viso, riflettendo tra noi su quant’è bello poter restare qui, ancora per un po’. Che senso ha correre in montagna quando è solo con lentezza che si può davvero godere di ogni singola pietra o muschio che il passo incontra? Non è forse con lentezza che si assapora a pieno l’aroma di un buon vino? Così il profumo del baranci scaldati al sole, dell’umidità dei recessi del bosco, del profumo acre della roccia ruvida sotto le mani? E non è forse tutto questo e l’attesa poi di tornare alla montagna, che rende più sopportabile la vita di tutti i giorni?





Pensiamo a queste e molte altre cose, quando ci rimettiamo in piedi, sforzandoci di non perdere la concentrazione per la discesa, che si prospetta non scevra delle sue piccole insidie. La prima è scendere sulla cengia, che è davvero esposta, sulla quale ci muoviamo con estrema cautela, superata la quale il percorso si fa più facile. Una volta raggiunto nuovamente il largo canale erboso, ritroviamo gli sparsi ometti di pietra che decidiamo di seguire in discesa e che ci portano, per gradoni, alla base della parete senza nemmeno il bisogno di legarci. Da lì il percorso a ritroso è ben impresso nella nostra mappa mentale. Per ovviare alla paretina finale attrezzata con la catena, attrezziamo una doppia attorno ad un grosso tronco, che ci deposita al punto di partenza.

La discesa alla diga si rivela un po’ faticosa, le ginocchia sono state messe alla prova, per cui quando torniamo alla macchina siamo belli cucinati. Ma con due sorrisi sul viso che ce li ricordiamo ancora. Dedichiamo ancora qualche ultimo scatto al bacino artificiale della Val Gallina, che ci regala una meravigliosa enrosadira riflessa sull’acqua, mentre velocemente si fa sera.

Pensieri finali sulla nostra piccola avventura.

Il percorso
Abbiamo omesso che, appena poco dopo aver lasciato il Casot, abbiamo conosciuto due ragazzi, decisamente più giovani di noi, che scendevano di buon passo lungo il sentiero. Inutile dire che eravamo piuttosto sorpresi di questo incontro inatteso. Abbiamo chiesto loro com’era la salita e se era stato difficile trovare la via. Ci hanno risposto che non si erano portati appresso nulla per fare sicura e che avevano seguito una traccia GPS, senza la quale si sarebbero probabilmente persi.

Difficoltà
Sul libro di vetta troviamo più firme di quante ce ne aspettassimo, sarà l’effetto dei sociali o dei blog come questo? L’itinerario non presenta difficoltà che superano il II-III° grado, ma l’orientamento non sempre facile, l’ambiente aspro e l’esposizione di alcuni tratti rende questa salita nel complesso avventurosa. Se dovessimo tornare sceglieremo oggi la via più facile, senza l’ausilio della corda, risparmiandoci un bel po’ di peso sulle spalle. Come da manuale, è necessario in ogni caso avere passo fermo e un po’ di buon senso, nulla più.

Ospiti indesiderati
Ovunque si legge della presenta di amici indesiderati che infestano, letteralmente, quei boschi. Qualche preoccupazione per le zecche c’è stata, sopratutto quando eravamo aggrappati alle erbe, ma alla conta non se ne è presentata nemmeno una. Grazie anche al provvidenziale calzino, di rito sopra le braghe. Bene dunque scegliere le stagioni più fredde.

Le vie di salita
Ci sono più vie di salita alla cima, le guide non sono tutte concordi nel descrivere la medesima come detto sopra, ma quello che le accomuna è che sono tutte piuttosto vaghe. Ripensandoci ora, la via più ovvia è sempre quella più semplice, ma resta difficile individuarla dal basso. E ci auguriamo resti così, sperando ancora una volta che non venga rovinata da troppi ometti, segni o chissà che. Siamo venuti qui per assaporare quell’effimero gusto del selvaggio che riservano ancora questi posti e confidiamo che chi li frequenta abbia lo stesso nostro cuore.




sabato 16 ottobre 2021

Un weekend in Val di Daone

Una boulderata di Enrico e Franz.

Tutto inizia con la brillante idea del Franz di passare a San Vito di Cadore per recuperare i crash lasciati in montagna (perché non si sa mai). E' venerdì sera, il 15 ottobre 2021 per l'esattezza, e non abbiamo ancora organizzato nulla, al solito tutto ad cazzium: non sappiamo ancora che strada ci conviene fare, a che ora partire, dove dormiremo, ma soprattutto non abbiamo la guida dei blocchi. Quali blocchi? Ma quelli del Daone, ovviamente!

Così si parte sabato mattina presto, incagolati dal sonno, per quello che sarebbe stato (e lo è stato) un lungo viaggio. Dopo aver percorso oltre 400 Km di chiacchiere, con le orecchie sature dei roboanti assoli di chitarra di Petrucci, giungiamo a destinazione alle ore 15.00 per parcheggiare in località Nudole. Il paesaggio è incantevole, le foto che seguono parlano da sole.




Il giorno seguente decidiamo per il settore Foresta, in località la Plana, dove parcheggiamo in ampio spiazzo popolato da altri "cimber" che pare abbiano passato la notte chi in camper, chi in tenda. Da lì proseguiamo a piedi lungo la strada forestale, dove dopo poco troviamo l'ingresso del famigerato "Boulder Park". Il bosco è da fiabe, con blocchi di granito che sembrano sculture. Il fondo è comodo e si scala su tutte le difficoltà. Siamo semplicemente in estasi. Troviamo dei ragazzi che ci fanno consultare la guida, ma per noi è lo stesso, tanto andiamo a sentimento.






Piccolo bilancio del weekend. La Val di Daone è semplicemente meravigliosa, remota e isolata, e merita una visita anche soltanto per il paesaggio (per chi non ravana). Mettici che abbiamo scalato sui più bei blocchi di sempre, il granito grippa ma non è così abrasivo per la pelle (tipo Gallura in Sardegna) e c'è da scalare per tutti, brocchi compresi :)

Ci ripromettiamo di tornare prima che faccia inverno. Chi ha voglia di unirsi ci faccia un fischio!