Una ravanata di Enrico & Angela.
Giornata caldissima il 19 luglio 2022. Il sole dardeggia nel cielo estivo, irradiando di incolmabile bellezza le Rocchette che si fanno ammirare dal terrazzo di casa, a Resinego, frazione di San Vito di Cadore. Lasciamo l'auto a Geralba (fraz. Chiapuzza), superiamo il Boite e al primo crocevia imbocchiamo la forestale numerata 457, direzione Rifugio Palmieri.
Chi ha già percorso questo itinerario sa che si tratta di un vero e proprio sentiero "da preti". Le rampate si succedono una dietro l'altra senza sosta e, nonostante camminiamo immersi nella macchia, il sole è cocente. Ben presto ci ritroviamo sudati e ansimanti, con in testa una sola domanda: basterà l'acqua della borraccia? A quota 1580, località Piàn de ra Bàita, la strada, che finalmente sembra spianare, si trasforma in sentiero costeggiato da alte erbe apparentemente poco frequentato. Proseguiamo ora in quota sempre lungo il 457, con modesti su e giù, attraversando un tratto roccioso poco esposto sotto il Beco Longo, nella totale solitudine.
Dopo aver camminando lungamente giungiamo ad un nuovo trivio che incrocia l'itinerario n. 427, con la possibilità di scendere ad Aquabona. Noi proseguiamo sul 457 che prende di nuovo a salire su terreno non sempre agevole. D'un tratto, attraverso uno slargo sulla sinistra, intravediamo finalmente la cima della Rocchetta, che ci appare remota e solitaria. Dopo aver traversato un ruscello e ampi prati bagnati, il sentiero svolta ora verso sinistra permettendo di guadagnare quota sul versante nord del modesto rilievo che ci separa dal Rifugio Croda da Lago, verso forcella Sonforcia.
Dove il sentiero curva repentinamente a destra (segnavia su masso), la traccia che si stacca a sinistra conduce all'ampia zona umida, località Palùo, dove ha inizio la via normale vera e propria.
Seguire la visibile traccia che traversa il paludo, oltrepassare il fondo di un ruscello in parte asciutto e salire uno dei sentieri che solcano il pendio opposto, preferendo tenersi a monte piuttosto che a valle. La traccia è segnata da alcuni ometti, ma è facile perderla di vista tra dossi e avvallamenti popolati abeti, mughi e fitte macchie di ginepro. Il consiglio è di stare al centro di quello che diventerà poco a poco un dorso di mulo, puntando a spanne alla meta, in alto.
Una volta fuori, il terreno si fa poco più pendente, a incontrare le fiumane di ghiaia che scendono dalle varie forcelle soprastanti. La presenza di ometti rende comunque il percorso abbastanza intuitivo, anche se un minimo di orientamento si rende necessario. Il sentiero traversa ora da sinistra a destra l'ampio anfiteatro di magro pascolo, tra la cima vera e propria e un cima minore, che rimane sulla destra, fino a raggiungere la base del canale che si impenna verticale verso il lato opposto.
Sempre seguendo alcune tracce più o meno marcate, saliamo faticosamente il pendio puntando ad un grosso roccione (bollo scolorito) che divide in due la parte terminale del canale, ora davvero ripido (sconsigliato in condizioni piovose). Alle loppe si alternano ghiaie talora infide, se percorse in verticale. Consigliamo di non perdere di vista la traccia che costeggia sulla sinistra (faccia a monte) e che renderebbe la salita più agile.
Al termine del canale, giunti sotto le rocce seguitare verso destra senza cedere alla tentazione di seguire alcune cenge che dipartono a sinistra, probabilmente segnate dai passaggi dei numerosi camosci. E infatti ne sentiamo fischiare alcuni in lontananza, messi in fuga dalla nostra aliena presenza. A questo punto il sentiero, sempre segnato da ometti, rimonta la parte finale della Rocchetta da destra verso sinistra, per cresta un po' esposta, fino alla croce di vetta.
La stanchezza si fa sentire nel momento esatto in cui smetti di salire, non è forse questa la più logica definizione di "cima"? La vista su San Vito è memorabile e salutiamo idealmente chi ci guarda da casa. Il sole è a picco e non vediamo l'ora di tornare ad infilarci nell'ombra degli abeti, ma la discesa si prospetta impegnativa per ginocchia e caviglie. Così scendiamo con prudenza e quando torniamo al Palùo siamo belli cucinati. La buona notizia è che riforniamo le borracce d'acqua buona e fresca al torrente, che dopo un tratto asciutto torna a sgorgare direttamente dalle rocce, garantendo la potabilità dell'acqua. Ci prendiamo una pausa distesi all'ombra, poi torniamo sui nostri passi, riuscendo perfino a perdere il sentiero a ritroso, ma a ritrovarci fortunatamente all'incrocio con la lunga forestale n. 427, che ci deposita in località Socòl. Da lì camminiamo comodamente fino a Geralba.
Con partenza da San Vito l'escursione è abbastanza impegnativa, con oltre 1600 metri di dislivello positivo totale e circa 25 km sulle gambe. Senza considerare le condizioni meteo: torniamo entrambi con una bella insolazione, ma felici di #ravanaresempre...
Segue racconto fotografico.
La Rocchetta di Campolongo, vista dal lato della via normale.
Il Palùo verso le Rocchette.
Traversando il Palùo.
Fuori dal rado boschetto (la nostra cima è quella a sx).
Risalendo il ripido canale erboso.
Le infide ghiaie terminali del canale.
Sulle laste.
Angela sulla cresta finale, vista dalla croce di vetta.