giovedì 25 agosto 2022

Cima Loschiesuoi, Gruppo del Cernera

Una ravanata di Enrico e Dario.

Era veramente tanto, ma tanto tempo che desideravo salire la cima del Loschiesuoi per cresta nord, una ravanata gustosa per veri intenditori del vegeto-minerale. La nostra fa parte del gruppo del Cernera e si caratterizza per apparire sul versante nord verso Passo Giau, come un grande dorso di mulo, che si impenna appena verso la parte terminale. La guida del Berti riporta le seguenti informazioni: la via è stata aperta da V. Penzo e G. Creazza nel 1952, dislivello 380 metri, con difficoltà di II° grado.

Vista della cima da forcella di Zonia

E' il 25 agosto 2022, una giornata per la verità nuvolosa, su cui non è possibile fare grande affidamento. Lasciamo l'auto qualche tornate al di sotto del valico e prendiamo a salire i prati del Col Piombin, con l'idea di guadagnare una vista di insieme della nostra montagna, che ci possa suggerire il giusto approccio ad una via che sicuramente non è stata ripetuta di recente. Dalla giusta distanza il versante a destra appare solcato da diversi canalini, ma come individuare quello giusto? La guida dice di evitare la "gobba iniziale" e tratteggia una linea che sale in obliquo il declivio. Ma l'illustrazione del Berti, per quanto suggestiva, non è di facile interpretazione e in rete non si trova assolutamente nulla.

Forcella Col Piombin

A forcella Col Piombin a quota 2239 (vedi foto) prendiamo il sentiero che porta alla Cima del Cernera per abbandonarlo poco dopo in favore di una zona di magro pascolo che si fa subito abbastanza "culosa". Traversiamo le ghiaie verso sinistra portandoci sotto parete, dove i dubbi si fanno sempre più insistenti. La parete sembra praticabile qui e lì, ma richiederebbe forse l'ausilio della corda, che invece abbiamo lasciato a casa, convinti di poterci muovere liberamente su difficoltà di II°. Così puntiamo ad un canalino poco più avanti che sembra corrispondere a meraviglia alla descrizione della relazione. Ma non ci sono ometti, né segni di passaggio alcuno a confortare la decisione, per cui ci muoviamo nell'ambito della pura ipotesi.

Il breve pendio erboso da cui attacca il canalino

Vista del canalino dalla sua base

Traversiamo un breve pendio erboso per raggiungere la base del canalino, che da lì appare praticabile. E qui inizia quell'esercizio di forzatura della realtà a quanto abbiamo letto in guida, per convincerci a tutti i costi che quella che stiamo per salire è LA VIA GIUSTA.

Scalo i primi metri su gradoni di buona roccia che però non offrono appoggi troppo generosi, almeno con le scarpe da avvicinamento. Dario mi raggiunge con qualche mugugno, così mi invento un'uscita a sinistra (faccia a monte) un po' più facile, ma esposta e friabile. Saliamo con cautela le ghiaie mobili puntando ad un terrazzo verde da cui ci preoccuperemo poi di capire come proseguire. Da lì il filo di cresta risulta già visibile, ci separano una serie di rampe erbose e gradini di roccia che non siamo in grado di valutare con certezza. Saliamo a sinistra tra i fiori di Aconito per arrivare ad un restringimento con una caratteristica finestrella di roccia passante incassata tra due paretine. Si naviga a vista e il tempo sembra peggiorare. Mi infilo in avanscoperta nel foro, per spuntare fuori rimontando su di una cengia dalla quale invito Dario a raggiungermi.

Vista del canalino iniziale dall'alto

Uscita su ghiaie ripide

Il terrazzo erboso fuori dal canalino

Il pericoloso Aconito napello (occhio a non toccarlo nemmeno con le mani)

Dario si infila nel foro tra le due paretine

Dario suggerisce di proseguire su diritti, con passaggio delicato a destra con le mani aggrappate alle loppe, e l'intuizione si rivela corretta. Di lì a poco raggiungiamo la dorsale erbosa del Loschiesuoi, con vista magnifica intorno. Risaliamo ora la cresta che presenta un restringimento esposto (attenzione, qui si scivola una vola sola...), per poi allargarsi senza presentare altri problemi. Si guadagna quota camminando serenamente, fino a quando la cresta diviene rocciosa. Più sotto, a sinistra faccia a monte, sarebbe possibile intercettare la via normale. Noi invece continuiamo ostinatamente sul filo di cresta, con "facile e divertente arrampicata fino in vetta", come prometteva il Berti.

Vista su forcella Loschiesuoi, a sinistra la Torre Dusso

Il restringimento in cresta (non sembra ma è esposto)

Dario sale per loppe

Si cammina in cresta

Dopo aver lasciato le nostre firme sul libro di vetta, visto che il tempo non promette bene, decidiamo di riparare non per via normale, ma per forcella Possoliva. Mai scelta fu più nefasta. Scendere alla forcella non è un problema (I°), ma il percorso non è segnato - manco un ometto a pagarlo oro -, per cui non ci resta che calarci per l'orribile canalone franoso, mentre già comincia a piovere. Stanchi e scoraggiati da questa prova, riusciamo ad individuare una traccia su pulpito erboso sottostante, alla quale puntiamo traversando in costa su rocce marce. Una volta raggiuntala il più è fatto, camminiamo ora su prati bagnati per balze erbose, costeggiando le pareti rocciose del Loschiesuoi fino a ritrovare il punto di partenza.

Il tratto finale, leggermente esposto a destra

Ultimi passi

Croce di vetta

Quando torniamo al canalino iniziale siamo quasi certi di esserci inventati una salita alternativa rispetto alla via originale che ci eravamo proposti di ripetere. Se avete intenzione di seguire questa relazione sappiate che non abbiamo lasciato alcuna traccia, sta a voi... e occhio ai fiori viola!!

domenica 21 agosto 2022

Un sasso al Passo Giau

Post di Enrico & Franz.

Sulle orme del Virgi, che credo abbia esplorato qualsiasi blocco scalabile nel raggio di almeno 50 km intorno a Cortina, decidiamo di andare a provare qualche blocco sul passo Giau. Per questo convinciamo amici e parenti a fare un pic-nic sui verdi prati sottostanti la Gusela, portandoci ovviamente appresso i nostri crash. La zona è tempestata di sassi di ogni guisa ed altezza, ma noi ne abbiamo individuato uno che è diventato subito il nostro preferito, almeno per quest'anno.

Dal rifugio sul valico, imbocchiamo il sentiero CAI n. 443 e raggiungiamo in pochi minuti uno spiazzo su cui sostare con la compagnia. Il nostro sasso si trova subito al di sotto del sentiero (46°29'17.6"N 12°03'17.2"E).

Si tratta di un grosso masso che presenta due lati scalabili: una placca strapiombante ad occhio sui 20 gradi ben appigliata, con diverse possibilità di salita che guarda direttamente il sentiero, e una placca strapiombante più a valle, con possibilità di traversi e almeno tre linee, dal medio al duro. La roccia è pulita e solida, gialla e grigia. Attenzione a qualche corallino che ti apre le mani.

Seguono le foto della bella giornata.













lunedì 8 agosto 2022

Corno d'angolo, val Popena

Una ravanativa di Enrico, Pippo, Dario.

Dopo aver sofferto a lungo il caldo, finalmente promette di piovere e proprio per questo progettiamo una gita di mezza giornata, giusto per non rischiare di trovarci a schivar saette...


La Val Popena ci sembra un'ottima meta per una giornata che si rappresenta ombreggiata fin dal mattino. Partenza da malga Misurina per il sentiero numerato 224b, dove giungiamo presto al bivio per i ruderi del rifugio Popena. 

Proseguiamo lungo il 222 per lasciarlo in favore di una traccia che risale il ghiaione, fino a toccare le pareti di roccia per una breve e gratuita digressione: la parete è solcata a un paio di metri appena da una cengia che ricorda il celeberrimo troi del Panza (Rifugio Settimo Alpini). Il passaggio è obbligatorio e una volta vinto quello che da ora in poi sarà denominato "troi del Pippo", scavalliamo un breve forcellino per risalire le infide ghiaie mobili (qui evitiamo di proposito il sentiero) che scendono dalla sella che ospita il diroccato rifugio.


Una volta sopravvissuti a questa ulteriore inutile prova di equilibrismo, scavallata l'ampia forcella proseguiamo a sinistra in direzione dello spigoloso profilo del Corno d'angolo. Il tempo sta via via peggiorando per cui decidiamo di accelerare il passo, onde rischiare di perdere l'opportunità di toccare la vetta. 

La Val Popena alta è deserta e affascinante mentre nuvole nere di addensano minacciosamente sopra le nostre teste. Una volta superata la caratteristica guglia su forcellino dove lo sguardo precipita nella sottostante valle, si prosegue per traccia che taglia longitudinalmente il ghiaione di massi alla base del Corno d'angolo in direzione della più alta forcella che lo separa dalla Pausa Marza (un nome, un programma...). 

Rimontiamo con passo deciso le ghiaie a sinistra, tenendoci al riparo di modesti pulpiti rocciosi, anche se il percorso non appare obbligato. Si risale un gradino di sfasciumi (I°) sulla destra e da lì si prospettano due possibilità: tagliare in costa a sinistra oppure risalire ulteriormente e portarsi in cresta (forte esposizione). Di lì a breve si raggiunge l'esile vetta costituita da grossi massi rotti, poggiati l'uno sull'altro (15 minuti dalla forcella).

Vista entusiasmante sul temporale che sembra accanirsi sul Sorapis, giusto il tempo per un paio di foto e decidiamo di ripiegare velocemente a valle. Scendiamo che già sta piovendo per trovare riparo alle spalle delle mura superstiti del vecchio rifugio, dove pranziamo al sacco. Per il ritorno decidiamo di comune accordo di percorre il sentiero in direzione 224 verso la forcella della Pala di Misurina, in modo da ritornare al punto di partenza per percorso alternativo. Traversiamo alti, sotto le incombenti pareti delle Pale, per variante ben segnata con bolli color carminio, fino a tagliare deliberatamente per canalini di sfasciumi in direzione della cresta.

Purtroppo la Pala di Misurina è completamente oscurata dalle nuvole per cui non ci resta che scendere a valle, proseguendo per il sentiero fino alla malga, dove ci attendono deliziose fette di torta e effervescenti skiwasser.

Note: si tratta di una cima nel complesso facile, salvo prestare attenzione al tratto finale che richiede quel minimo di capacità di cavarsela su terreno franoso. Attenzione all'esposizione sulla cresta che porta alla vetta.

venerdì 22 luglio 2022

Salita al Piz del Corvo, andar per loppe

Una passeggiata di Enrico e Rachele.

E' il 22 luglio 2022 e siamo in ferie già da qualche giorno. l'estate è torrida e non abbiamo molta voglia di faticare sotto la caldana. Così esce fuori la proposta di fare una sgambata in zona Mondeval e di lì, per via normale, alla cima del Piz del Corvo, promontorio erboso sul lato nord, che segue il profilo orografico del Monte Mondeval, già salito più volte durante gli inverni.

Il versante meridionale invece appare più severo, roccioso ancorché adornato di alberi soprattutto sulle cenge più ampie e i cui verdi terminali, tra una cuspide e l'altra, si impennano in modo vertiginoso. Si tratta di una cima d'infanzia, dal momento che per lunghi anni la mia famiglia, quando ero bambino, affittava per l'estate un appartamento a Santa Fosca. Un vicino di appartamento, un brav'uomo di cui non ho mai saputo il nome di battesimo, ma che mio padre soprannominava "il bolognese", era solito salire la cima del Corvo all'alba, per poi rincasare da moglie e figlio per l'ora di pranzo. Chissà perché non ho mai salito il Piz del Corvo fino ad oggi.

Per farci un po' di sconto sul dislivello, parcheggiamo l'auto in una piazzola sotto il Passo, lato Cortina e siamo presto sul sentiero che conduce verso il Col Piombin. Scavallata la forcelletta scendiamo costeggiando le pendici della Chiesuola, su cui metto gli occhi per una possibile salita, e superata la Torre Dusso siamo a salire le ghiaie che scendono da Forcella Giau.

Percorriamo in discesa il sentiero 465, che traversa ampi prati in direzione Val Fiorentina, fino a giungere ad un bivio in località Pont de Sass (quota 2103 mt), dove troviamo un cartello con indicazioni per la cima. Risaliamo brevemente la traccia, che costeggia un grande foro passante, e rimontiamo in direzione Darè Spiza Còrf.


Il paesaggio è decisamente rilassante, dove l'unica preoccupazione è quella di evitare i fiori di Aconito, che cresce ovunque in zona. Mano mano che ci avviciniamo all'attacco vero e proprio l'erba si fa sempre più alta e la traccia tende a perdersi. 

Ma non c'è da preoccuparsi, una volta individuata la freccia che indica la cima si prende a salire senza percorso obbligato il ripido pendio (molto ripido). Dal momento che non si riesce a scorgere dal basso la croce di vetta consigliamo di puntare ad un pietra grigia, messa appositamente a mo' di menhir: la cima si trova esattamente sopra.  

Quanto sono belle le cime minori e quanto spazia lo sguardo tutt'intorno.





martedì 19 luglio 2022

Rocchetta di Campolongo, ovvero la lunga estate caldissima

Una ravanata di Enrico & Angela.

Giornata caldissima il 19 luglio 2022. Il sole dardeggia nel cielo estivo, irradiando di incolmabile bellezza le Rocchette che si fanno ammirare dal terrazzo di casa, a Resinego, frazione di San Vito di Cadore. Lasciamo l'auto a Geralba (fraz. Chiapuzza), superiamo il Boite e al primo crocevia imbocchiamo la forestale numerata 457, direzione Rifugio Palmieri. 

Chi ha già percorso questo itinerario sa che si tratta di un vero e proprio sentiero "da preti". Le rampate si succedono una dietro l'altra senza sosta e, nonostante camminiamo immersi nella macchia, il sole è cocente. Ben presto ci ritroviamo sudati e ansimanti, con in testa una sola domanda: basterà l'acqua della borraccia? A quota 1580, località Piàn de ra Bàita, la strada, che finalmente sembra spianare, si trasforma in sentiero costeggiato da alte erbe apparentemente poco frequentato. Proseguiamo ora in quota sempre lungo il 457, con modesti su e giù, attraversando un tratto roccioso poco esposto sotto il Beco Longo, nella totale solitudine.

Dopo aver camminando lungamente giungiamo ad un nuovo trivio che incrocia l'itinerario n. 427, con la possibilità di scendere ad Aquabona. Noi  proseguiamo sul 457 che prende di nuovo a salire su terreno non sempre agevole. D'un tratto, attraverso uno slargo sulla sinistra, intravediamo finalmente la cima della Rocchetta, che ci appare remota e solitaria. Dopo aver traversato un ruscello e ampi prati bagnati, il sentiero svolta ora verso sinistra permettendo di guadagnare quota sul versante nord del modesto rilievo che ci separa dal Rifugio Croda da Lago, verso forcella Sonforcia.

Dove il sentiero curva repentinamente a destra (segnavia su masso), la traccia che si stacca a sinistra conduce all'ampia zona umida, località Palùo, dove ha inizio la via normale vera e propria.

Seguire la visibile traccia che traversa il paludo, oltrepassare il fondo di un ruscello in parte asciutto e salire uno dei sentieri che solcano il pendio opposto, preferendo tenersi a monte piuttosto che a valle. La traccia è segnata da alcuni ometti, ma è facile perderla di vista tra dossi e avvallamenti popolati abeti, mughi e fitte macchie di ginepro. Il consiglio è di stare al centro di quello che diventerà poco a poco un dorso di mulo, puntando a spanne alla meta, in alto. 

Una volta fuori, il terreno si fa poco più pendente, a incontrare le fiumane di ghiaia che scendono dalle varie forcelle soprastanti. La presenza di ometti rende comunque il percorso abbastanza intuitivo, anche se un minimo di orientamento si rende necessario. Il sentiero traversa ora da sinistra a destra l'ampio anfiteatro di magro pascolo, tra la cima vera e propria e un cima minore, che rimane sulla destra, fino a raggiungere la base del canale che si impenna verticale verso il lato opposto.

Sempre seguendo alcune tracce più o meno marcate, saliamo faticosamente il pendio puntando ad un grosso roccione (bollo scolorito) che divide in due la parte terminale del canale, ora davvero ripido (sconsigliato in condizioni piovose). Alle loppe si alternano ghiaie talora infide, se percorse in verticale. Consigliamo di non perdere di vista la traccia che costeggia sulla sinistra (faccia a monte) e che renderebbe la salita più agile. 

Al termine del canale, giunti sotto le rocce seguitare verso destra senza cedere alla tentazione di seguire alcune cenge che dipartono a sinistra, probabilmente segnate dai passaggi dei numerosi camosci. E infatti ne sentiamo fischiare alcuni in lontananza, messi in fuga dalla nostra aliena presenza. A questo punto il sentiero, sempre segnato da ometti, rimonta la parte finale della Rocchetta da destra verso sinistra, per cresta un po' esposta, fino alla croce di vetta.

La stanchezza si fa sentire nel momento esatto in cui smetti di salire, non è forse questa la più logica definizione di "cima"? La vista su San Vito è memorabile e salutiamo idealmente chi ci guarda da casa. Il sole è a picco e non vediamo l'ora di tornare ad infilarci nell'ombra degli abeti, ma la discesa si prospetta impegnativa per ginocchia e caviglie. Così scendiamo con prudenza e quando torniamo al Palùo siamo belli cucinati. La buona notizia è che riforniamo le borracce d'acqua buona e fresca al torrente, che dopo un tratto asciutto torna a sgorgare direttamente dalle rocce, garantendo la potabilità dell'acqua. Ci prendiamo una pausa distesi all'ombra, poi torniamo sui nostri passi, riuscendo perfino a perdere il sentiero a ritroso, ma a ritrovarci fortunatamente all'incrocio con la lunga forestale n. 427, che ci deposita in località Socòl. Da lì camminiamo comodamente fino a Geralba.

Con partenza da San Vito l'escursione è abbastanza impegnativa, con oltre 1600 metri di dislivello  positivo totale e circa 25 km sulle gambe. Senza considerare le condizioni meteo: torniamo entrambi con una bella insolazione, ma felici di #ravanaresempre...

Segue racconto fotografico.

Quota Piàn de ra Bàita.

La Rocchetta di Campolongo, vista dal lato della via normale.

Il Palùo verso le Rocchette.

Traversando il Palùo.

Fuori dal rado boschetto (la nostra cima è quella a sx).

Risalendo il ripido canale erboso.

Le infide ghiaie terminali del canale.

Sulle laste.

Angela sulla cresta finale, vista dalla croce di vetta.