venerdì 22 luglio 2022

Salita al Piz del Corvo, andar per loppe

Una passeggiata di Enrico e Rachele.

E' il 22 luglio 2022 e siamo in ferie già da qualche giorno. l'estate è torrida e non abbiamo molta voglia di faticare sotto la caldana. Così esce fuori la proposta di fare una sgambata in zona Mondeval e di lì, per via normale, alla cima del Piz del Corvo, promontorio erboso sul lato nord, che segue il profilo orografico del Monte Mondeval, già salito più volte durante gli inverni.

Il versante meridionale invece appare più severo, roccioso ancorché adornato di alberi soprattutto sulle cenge più ampie e i cui verdi terminali, tra una cuspide e l'altra, si impennano in modo vertiginoso. Si tratta di una cima d'infanzia, dal momento che per lunghi anni la mia famiglia, quando ero bambino, affittava per l'estate un appartamento a Santa Fosca. Un vicino di appartamento, un brav'uomo di cui non ho mai saputo il nome di battesimo, ma che mio padre soprannominava "il bolognese", era solito salire la cima del Corvo all'alba, per poi rincasare da moglie e figlio per l'ora di pranzo. Chissà perché non ho mai salito il Piz del Corvo fino ad oggi.

Per farci un po' di sconto sul dislivello, parcheggiamo l'auto in una piazzola sotto il Passo, lato Cortina e siamo presto sul sentiero che conduce verso il Col Piombin. Scavallata la forcelletta scendiamo costeggiando le pendici della Chiesuola, su cui metto gli occhi per una possibile salita, e superata la Torre Dusso siamo a salire le ghiaie che scendono da Forcella Giau.

Percorriamo in discesa il sentiero 465, che traversa ampi prati in direzione Val Fiorentina, fino a giungere ad un bivio in località Pont de Sass (quota 2103 mt), dove troviamo un cartello con indicazioni per la cima. Risaliamo brevemente la traccia, che costeggia un grande foro passante, e rimontiamo in direzione Darè Spiza Còrf.


Il paesaggio è decisamente rilassante, dove l'unica preoccupazione è quella di evitare i fiori di Aconito, che cresce ovunque in zona. Mano mano che ci avviciniamo all'attacco vero e proprio l'erba si fa sempre più alta e la traccia tende a perdersi. 

Ma non c'è da preoccuparsi, una volta individuata la freccia che indica la cima si prende a salire senza percorso obbligato il ripido pendio (molto ripido). Dal momento che non si riesce a scorgere dal basso la croce di vetta consigliamo di puntare ad un pietra grigia, messa appositamente a mo' di menhir: la cima si trova esattamente sopra.  

Quanto sono belle le cime minori e quanto spazia lo sguardo tutt'intorno.





martedì 19 luglio 2022

Rocchetta di Campolongo, ovvero la lunga estate caldissima

Una ravanata di Enrico & Angela.

Giornata caldissima il 19 luglio 2022. Il sole dardeggia nel cielo estivo, irradiando di incolmabile bellezza le Rocchette che si fanno ammirare dal terrazzo di casa, a Resinego, frazione di San Vito di Cadore. Lasciamo l'auto a Geralba (fraz. Chiapuzza), superiamo il Boite e al primo crocevia imbocchiamo la forestale numerata 457, direzione Rifugio Palmieri. 

Chi ha già percorso questo itinerario sa che si tratta di un vero e proprio sentiero "da preti". Le rampate si succedono una dietro l'altra senza sosta e, nonostante camminiamo immersi nella macchia, il sole è cocente. Ben presto ci ritroviamo sudati e ansimanti, con in testa una sola domanda: basterà l'acqua della borraccia? A quota 1580, località Piàn de ra Bàita, la strada, che finalmente sembra spianare, si trasforma in sentiero costeggiato da alte erbe apparentemente poco frequentato. Proseguiamo ora in quota sempre lungo il 457, con modesti su e giù, attraversando un tratto roccioso poco esposto sotto il Beco Longo, nella totale solitudine.

Dopo aver camminando lungamente giungiamo ad un nuovo trivio che incrocia l'itinerario n. 427, con la possibilità di scendere ad Aquabona. Noi  proseguiamo sul 457 che prende di nuovo a salire su terreno non sempre agevole. D'un tratto, attraverso uno slargo sulla sinistra, intravediamo finalmente la cima della Rocchetta, che ci appare remota e solitaria. Dopo aver traversato un ruscello e ampi prati bagnati, il sentiero svolta ora verso sinistra permettendo di guadagnare quota sul versante nord del modesto rilievo che ci separa dal Rifugio Croda da Lago, verso forcella Sonforcia.

Dove il sentiero curva repentinamente a destra (segnavia su masso), la traccia che si stacca a sinistra conduce all'ampia zona umida, località Palùo, dove ha inizio la via normale vera e propria.

Seguire la visibile traccia che traversa il paludo, oltrepassare il fondo di un ruscello in parte asciutto e salire uno dei sentieri che solcano il pendio opposto, preferendo tenersi a monte piuttosto che a valle. La traccia è segnata da alcuni ometti, ma è facile perderla di vista tra dossi e avvallamenti popolati abeti, mughi e fitte macchie di ginepro. Il consiglio è di stare al centro di quello che diventerà poco a poco un dorso di mulo, puntando a spanne alla meta, in alto. 

Una volta fuori, il terreno si fa poco più pendente, a incontrare le fiumane di ghiaia che scendono dalle varie forcelle soprastanti. La presenza di ometti rende comunque il percorso abbastanza intuitivo, anche se un minimo di orientamento si rende necessario. Il sentiero traversa ora da sinistra a destra l'ampio anfiteatro di magro pascolo, tra la cima vera e propria e un cima minore, che rimane sulla destra, fino a raggiungere la base del canale che si impenna verticale verso il lato opposto.

Sempre seguendo alcune tracce più o meno marcate, saliamo faticosamente il pendio puntando ad un grosso roccione (bollo scolorito) che divide in due la parte terminale del canale, ora davvero ripido (sconsigliato in condizioni piovose). Alle loppe si alternano ghiaie talora infide, se percorse in verticale. Consigliamo di non perdere di vista la traccia che costeggia sulla sinistra (faccia a monte) e che renderebbe la salita più agile. 

Al termine del canale, giunti sotto le rocce seguitare verso destra senza cedere alla tentazione di seguire alcune cenge che dipartono a sinistra, probabilmente segnate dai passaggi dei numerosi camosci. E infatti ne sentiamo fischiare alcuni in lontananza, messi in fuga dalla nostra aliena presenza. A questo punto il sentiero, sempre segnato da ometti, rimonta la parte finale della Rocchetta da destra verso sinistra, per cresta un po' esposta, fino alla croce di vetta.

La stanchezza si fa sentire nel momento esatto in cui smetti di salire, non è forse questa la più logica definizione di "cima"? La vista su San Vito è memorabile e salutiamo idealmente chi ci guarda da casa. Il sole è a picco e non vediamo l'ora di tornare ad infilarci nell'ombra degli abeti, ma la discesa si prospetta impegnativa per ginocchia e caviglie. Così scendiamo con prudenza e quando torniamo al Palùo siamo belli cucinati. La buona notizia è che riforniamo le borracce d'acqua buona e fresca al torrente, che dopo un tratto asciutto torna a sgorgare direttamente dalle rocce, garantendo la potabilità dell'acqua. Ci prendiamo una pausa distesi all'ombra, poi torniamo sui nostri passi, riuscendo perfino a perdere il sentiero a ritroso, ma a ritrovarci fortunatamente all'incrocio con la lunga forestale n. 427, che ci deposita in località Socòl. Da lì camminiamo comodamente fino a Geralba.

Con partenza da San Vito l'escursione è abbastanza impegnativa, con oltre 1600 metri di dislivello  positivo totale e circa 25 km sulle gambe. Senza considerare le condizioni meteo: torniamo entrambi con una bella insolazione, ma felici di #ravanaresempre...

Segue racconto fotografico.

Quota Piàn de ra Bàita.

La Rocchetta di Campolongo, vista dal lato della via normale.

Il Palùo verso le Rocchette.

Traversando il Palùo.

Fuori dal rado boschetto (la nostra cima è quella a sx).

Risalendo il ripido canale erboso.

Le infide ghiaie terminali del canale.

Sulle laste.

Angela sulla cresta finale, vista dalla croce di vetta.